Reprobi ripugnanti che non lo erano
L’altra faccia delle streghe pedofile
Il peccato dei peccati al quale inchiodare la chiesa e i suoi ministri. “Terrificante” anche per il Papa. Troppo spesso, dietro le accuse c’è la calunnia
Don Giorgio Carli, don Luigi Giovannini, don Sandro De Pretis: tre sacerdoti della mia regione finiti recentemente nel tritacarne dell’accusa di pedofilia, l’accusa più infamante e difficile da smentire che vi sia. Il primo, assolto in primo grado “perché il fatto non sussiste” mentre la vittima, unico teste, è giudicata “inattendibile”. Don Giorgio lavora nella chiesa del Corpus Domini di Bolzano, nella “zona più popolata e popolare della città”, in cui “non è mai aleggiato il dubbio. Innocente, sempre e comunque, per la gente che lo conosce. Invece in appello il sacerdote viene condannato per violenza: “La memoria (della giovane vittima, ndr) riaffiorò dopo 14 anni e un lungo trattamento di 350 sedute chiamato ‘distensione meditativa’”, simile all’ipnosi. La ragazza, dopo tanti anni e tante sedute, dunque, racconta un sogno di stupro, in cui don Giorgio non compare neppure direttamente, ma solo grazie all’interpretazione degli “esperti”. “Modalità particolari, uniche nella giurisprudenza italiana”, recita il Corriere del 26/3/2009. Una cosa assurda, mai vista, mi conferma il professor Casonato, docente di Psicologia dinamica dell’Università di Milano, esperto di pedofilia.Il secondo, don Luigi: ama stare coi ragazzi, lo fa con passione e bontà (era un collega…); viene messo sotto accusa per molestie, il caso finisce sui giornali, come sempre poco delicati, e smette di insegnare. Tutto è nato da una diffamazione, come si scoprirà alla fine delle indagini, da parte di una mitomane che dice di avere le visioni della Madonna: è lei, nientemeno, a rivelarle i peccati del don! L’accusatrice verrà inviata dalla magistratura in un istituto psichiatrico per deboli di mente.
Il terzo, don Sandro: vocazione adulta, dopo aver fatto un’esperienza di volontariato internazionale, finisce missionario a Gibuti, piccola Repubblica del Corno d’Africa. A un certo punto viene imputato per corruzione di minori e pedofilia, poi l’accusa cambia (e cambierà molte volte ancora): detenzione di materiale pornografico. In realtà don Sandro ha le foto di bambini con bubboni sul braccio, che ha archiviato per sottoporle ai medici, da buon missionario. Quello di don Sandro diventa un caso internazionale, tanto che il governo Prodi sospende un finanziamento all’ospedale di Gibuti. Alla fine don Sandro viene liberato: sembra che la sua colpa sia stata quella di essere un testimone scomodo, l’unico occidentale a Gibuti nel 1995, quando venne ucciso il giudice francese Bernard Borrel. “La scia dei delitti porta a Ismail Omar Guelleh, attuale presidente della Repubblica”: la vittima è un prete la cui onestà e la cui presenza fanno paura (Vita Trentina, 5/4/2009). L’accusa è dunque quella usata a suo tempo verso i preti cattolici oppositori al regime dai nazisti e dai comunisti, secondo una logica terribile: screditare l’avversario, è meglio che ucciderlo.
Riprendo l’elenco, raccontando qualcuno dei numerosi casi che si possono trovare con qualche ricerca.
Don Giorgio Govoni: condannato a 14 anni in primo grado, la giustizia lo ha del tutto riabilitato quando ormai era già morto di dolore, dieci anni fa: era stato accusato di essere il capobanda di una setta di satanisti feroci, dediti ad abusi su minori e decapitazione di bambini. Per trovare le prove sono stati dragati fiumi e perquisiti cimiteri, alla ricerca di corpi inesistenti. Sulla sua lapide è scritto: “Vittima innocente della calunnia e della faziosità umana, ha aiutato assiduamente i bisognosi…”. Don Giorgio, ricorda Lucia Bellaspiga, “era un prete particolare, amato dalla sua gente in modo non comune. Il “prete camionista”, era chiamato, perché per sostenere economicamente i suoi poveri, prima i meridionali, poi gli extracomunitari, nelle ore libere guadagnava qualche soldo guidando i Tir” (Avvenire del 3 agosto 2004). Ancora oggi i suoi parrocchiani lo ricordano con affetto e celebrano proprio in questi giorni l’anniversario della sua morte.
Don Paolo Turturro: parroco di Santa Lucia, a Palermo. Una zona difficile: “Nel Borgo vecchio l’anno scorso furono uccisi a coltellate due ragazzi, davanti a centinaia di persone, che dissero di non aver visto niente. La chiesa sta proprio davanti al portone del carcere dell’Ucciardone (di cui don Turturro è stato anche cappellano, ndr), l’aria che si respira è pesante. Possono essere vere le accuse che due bambini hanno scagliato contro padre Paolo Turturro, il prete antimafia incriminato per pedofilia? Uno choc, una cosa inconcepibile, alla quale nessuno sembra voler credere. Ma le imputazioni del sostituto procuratore della Repubblica, Alessia Sinatra, fatte proprie dal giudice per le indagini preliminari, Marcello Viola, sono da brividi”. Per la sua gente “le accuse contro don Paolo sono inventate, i ragazzini sono stati sentiti senza i genitori, li hanno forzati a raccontare cose non vere”.
Così “trecento persone hanno espresso pubblicamente il loro affetto al prete in fiaccolata notturna ma, probabilmente, né loro né gli autorevoli esponenti della chiesa che si sono schierati a fianco di don Paolo conoscevano l’ordinanza del magistrato che, nel disporre il suo allontanamento, ha scritto: ‘Padre Turturro, in qualità di vero e proprio benefattore delle famiglie del quartiere e artefice di numerose iniziative in campo sociale, anche a sostegno delle istituzioni che contrastano la criminalità organizzata, è inevitabilmente, da lungo tempo, diventato personaggio di spicco, carismatico e nei cui confronti tutti i ragazzi e le rispettive famiglie nutrono da sempre profondi sentimenti di riconoscenza e rispetto, cui inevitabilmente si accompagna una soggezione psicologica non indifferente’. In sostanza, dice il giudice, il prete è sì quello che tutti sappiamo, un paladino della lotta a Cosa nostra, ma proprio per questo il pericolo di inquinamento probatorio diventa più concreto: ‘E’ altissimo’, scrive infatti il dottor Viola, ‘il rischio che le voci dei minori vengano soffocate dalle pressioni dell’indagato, del quale è indiscutibile il prestigio all’interno della comunità di quartiere’”. Il giornalista Gennaro De Stefano conclude così il suo servizio: “‘La sua attività non poteva rimanere senza risposta’, dicono nel quartiere. ‘Siringhe usate infilzate sul portone della chiesa, telefonate minatorie e uova lanciate contro la parrocchia sono state per anni l’avvertimento della mafia. La vendetta potrebbe essere arrivata puntuale con questa sporca storia di pedofilia’. Speriamo sia davvero così” (Oggi, n. 40, 2003). Don Paolo, che vive scortato perché avversato dai boss, amico di don Puglisi, il parroco ucciso dalla mafia, per tutti “prete antimafia” vicino agli ultimi e soprattutto ai bambini a rischio, viene condannato nel 2009 in primo grado a sei anni e sei mesi per pedofilia e a risarcire 50 mila euro alle vittime, costituitesi parti civili. Sembra abbia avuto nei confronti di due bambini “attenzioni particolari” e che in un caso abbia anche “baciato sulla bocca uno dei piccoli”.
Scrive Repubblica del 18 luglio 2009: “Il presidente Fasciana ha anche deciso la trasmissione alla procura degli atti di un ragazzo, Benedetto P., per la testimonianza resa durante il processo in aula. Per il giovane si profila l’iscrizione nel registro degli indagati… Durante il processo, deponendo in aula, altri ragazzini hanno ritrattato o ridimensionato le accuse mosse al prete durante le indagini. Non hanno cambiato versione invece le due presunte vittime”. Alla notizia della sua condanna, che non è definitiva, nessuno tra coloro che ben lo conoscono, ci crede. Scrive un ragazzo sul blog Live Sicilia, quotidiano on line, sotto la notizia della condanna: “Sono stato con don Paolo Turturro dall’età di 9 (1989) anni fino ai 14 (1994), notte e giorno ed è stato come un padre per me, io che un padre non l’ho mai avuto (era un mafiosetto da quattro soldi) e la madre (alcolizzata), tutti e due morti. Non credo assolutamente alle volgari, ignobili ed infamanti accuse. Eravamo più di cento bambini e ragazzi con i quali si parlava si giocava e si viveva insieme tutti i giorni e mai NESSUNO!!! ha accennato o ha avuto il minimo dubbio sulla sua moralità ed operato. Non credo che un UOMO cambi il suo stile di vita, il suo pensiero, la sua anima col trascorrere del tempo” (http://www.livesicilia.it/2009/07/17/condannato-don-turturro/). Al contrario, su molti siti dei cacciatori di pedofili di professione, degli anticlericali in servizio permanente, dei sedicenti “laici”, si sprecano gli insulti e le maledizioni, contro il don Paolo e, tramite lui, contro la chiesa in generale. Inesistenti i garantisti, i dubbiosi, coloro che si interrogano. Se non tra coloro che don Turturro lo hanno conosciuto e che giurano sulla sua innocenza.
Quanto al bacio sulla bocca di don Paolo, divenuto “violenza sessuale”, “pedofilia” (dimostrabile, e come?), fa venire alla mente un altro caso, quello di un altro prete “pedofilo”: don Ilario Rolle, famoso per la sua lotta alla pedopornografia, presidente dell’Associazione Davide onlus per la tutela dei diritti dei minori in rete (attraverso l’invenzione del famoso filtro Davide), consulente del governo per la sicurezza dei minori in rete, fondatore di una casa di accoglienza detta “Pronto soccorso sociale” per l’ospitalità di emergenza di minori e giovani in situazioni di disagio. Don Ilario è stato condannato a tre anni e otto mesi per violenza sessuale su minore: avrebbe baciato sulla bocca un bimbo di dodici anni. “Il pm Stefano Demontis – scrive il Corriere di Chieri e Moncalieri – aveva chiesto un anno e otto mesi, ma il Gup ha deciso di inasprire la pena non condividendo l’ipotesi di violenza lieve sostenuta dalla procura. Nella sentenza il giudice non ha trascurato anche i ‘guai giudiziari’ molto simili avuti in passato da don Rolle.
Due episodi che non portarono a nessuna condanna, uno dei quali avvenne quando si trovava ancora a Carmagnola. Era il 1990, don Ilario aveva 39 anni ed era il parroco di Vallongo. Venne accusato di molestie da un ragazzino di 12 anni, ma venne completamente prosciolto. Il prete si era difeso affermando che il minore era uno sbandato che aveva voluto vendicarsi perché non era stato accolto in comunità. Il ragazzino faceva parte del mondo della baby prostituzione di Porta Nuova e a presentarlo a don Rolle era stato un noto avvocato torinese. La difesa, sostenuta dall’avvocato Stefano Castrale, ha già annunciato appello”. Scrive Repubblica, sotto il titolo “Il bacio proibito del prete antipedofilia: “E’ conosciuto per il suo impegno nella lotta alla pedopornografia, è il creatore di siti Internet con filtri protetti per i bambini, è uno dei preti che ha ricevuto più premi e riconoscimenti, e ha sempre detto che la sua missione è quella di ‘proteggere i minori’. Eppure proprio da un bambino è stato messo nei guai…”. E conclude: “Ma tre anni e otto mesi di carcere sono tanti, e l’accusa di pedofilia rischia di rovinare per sempre una vita dedicata alla lotta contro la violenza sessuale sui minori” (Repubblica, 3/12/2009).
Due anziane suore orsoline di Bergamo: lavorano in un asilo, vengono condannate a nove anni e mezzo in primo grado per abusi su otto bambini tra il 1999 e il 2000. Carmen Pugliese, il pubblico ministero che ha chiesto e ottenuto la pesante condanna, ha dichiarato: “Ci siamo sforzati di non farci condizionare dall’abito che portavano le imputate. Abbiamo avvertito il peso di lavorare in una città cattolica, anche per lo scarso rilievo pubblico dato a una vicenda così grave” (http://italy.indymedia.org/news/2005/04/777565_comment.php, sotto il titolo “Per non dimenticare lo scandalo dei preti pedofili”: uno dei tanti siti, specie di sinistra, che esultano a ogni condanna di preti, e che omettono sistematicamente ogni assoluzione). Nel luglio 2004 le suore vengono assolte in secondo grado, con formula piena, dopo tanta “fortuna” sui giornali. Da mostri sicuri a innocenti certi.
Suor Marta Roversi, nota come suor Rosa: qua e là compare come la suora “pedofila”. Avrebbe coperto l’autista di un asilo di Calabritto, colpevole di molestie su minori. Suor Rosa è stata condannata a tre anni in primo grado e appello. La sentenza in appello è stata però annullata dalla Cassazione e quindi si celebrerà un nuovo appello.
Don Aldo Bonaiuto: responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, dedita all’aiuto, tra le altre cose, delle prostitute, e alla lotta contro il traffico di nigeriane, viene indagato nel 2003 per presunta violenza sessuale nei confronti di un bimbo di cinque anni. A chiamarlo in causa è il figlio di una “lucciola” dell’ex Jugoslavia che don Bonaiuto aveva sottratto dal marciapiede e ospitato nella sua casa-famiglia “Papa Giovanni XXIII”. “C’è un episodio nel passato di don Aldo Bonaiuto che merita di esser ricordato. Il parroco cercò di aiutare la prostituta nigeriana Evelyn Okodua, uccisa a Senigallia il 26 febbraio del 2000, mettendosi contro i suoi presunti sfruttatori. Denunciati dalla polizia, non sono mai stati arrestati. La causa del delitto della nigeriana fu la volontà di uscire dal giro della prostituzione, a cui i suoi sfruttatori si sono opposti ferocemente. Evelyn dieci giorni prima della sua uccisione chiese aiuto a don Bonaiuto e a don Benzi. Il suo corpo straziato fu ritrovato in mezzo a una sterpaia di Passo di Ripe dove si prostituiva. Forse quell’accusa infamante di pedofilia potrebbe essere un segno di ritorsione degli sfruttatori danneggiati dall’impegno sociale del parroco. E la procura sta seguendo indagini anche verso questa ipotesi, quella della malavita organizzata sul racket delle prostitute” (http://www.vivacity.it scritto da Anna Germoni). Don Aldo è stato assolto.
Don Giancarlo Locatelli: accusato per possesso di materiale pedopornografico, assolto perché il fatto non sussiste il 7 novembre 2006. Quattro sacerdoti torinesi: accusati di violenza da tale Salvatore Costa, che vive di espedienti, di furti e di ricatti. Se non mi date dei soldi, vi denuncio: questa la sua strategia, allargata poi ad almeno altri tre preti, uno milanese, uno ligure e uno pugliese, nel corso dei suoi vagabondaggi. Salvatore Costa, racconta Repubblica, “dopo un’infanzia per strada, passava le sue giornate a fare il giro delle chiese, tra elemosine e ricatti”. Per strada significa soprattutto in via Cavalli, a Torino: là dove dagli anni Ottanta “uscivano allo scoperto decine di ragazzi di strada. Giovani di 16-17 anni; a volte anche meno. Disposti a tutto…
Funzionava così, a quei tempi. Quando si vendeva il proprio corpo per qualche migliaio di lire. Per comprarsi un paio di jeans alla moda, scarpe firmate”. Oggi non è diverso, se non per il luogo: non più via Cavalli, per chi vuole sesso e minori. “Chi cerca minorenni li trova più facilmente in qualche cinema a luci rosse. Ormai sono quelli i luoghi di ritrovo durante il giorno. E quei ragazzini in cerca di soldi facili sono lì già dal primo pomeriggio, fino a sera inoltrata. Se ne stanno sulle scale oppure non lontano dagli ingressi. Per una ventina di euro sono disposti a tutto, o quasi” (la Stampa, 9/8/2007). Costa non ha mai avuto un lavoro. Chiede l’elemosina ai preti, come tanti, e talora ad alcuni estorce denaro, minacciando di infangarli pubblicamente per presunti rapporti con lui quand’era minore. Finché uno di loro lo denuncia. Dei preti ricattati uno viene subito scagionato. Due invece non ne escono benissimo: ammettono di avere avuto rapporti omosessuali, ma mai con minori. Del resto le dichiarazioni del Costa sui suoi rapporti con loro risultano “contraddittorie” e non credibili. Sembra che Costa conoscesse le debolezze di qualche sacerdote omosessuale e puntasse sulla possibilità di retrodatare presunti rapporti, per trasformare in un reato ciò che non lo è. Alla fine la magistratura condanna Costa a quattro anni e sei mesi di carcere. La sua abitudine alla diffamazione è sempre più chiara anche grazie alle intercettazioni. In una di queste egli dichiara alla compagna, riferendosi al suo primo legale (ne cambierà quattro): “Ma lo mando a fanc… e lo cancello come avvocato… te lo giuro, giovedì all’interrogatorio faccio finta che mi ha molestato due bambini davanti a me e lo rovino” (la Stampa, 12/12/2008). Insomma, “un ricattatore di professione”, come lo definisce il gip Emanuela Gai. Parte della pena Costa la passerà agli arresti domiciliari, in una parrocchia. “Salvatore Costa è cambiato, ha mostrato l’intenzione di chiudere questo triste capitolo della sua vita. Certo all’interno della parrocchia darà una mano, ma il suo obiettivo è di cercarsi finalmente un lavoro”: così ha dichiarato l’avvocato del Costa. Intanto il ricattatore sarà aiutato. Da un prete (Repubblica, 6 e 8/2/2009).
Don Marco: della sua denuncia per pedofilia parla il Giornale del 2 aprile 2010. Si riportano a grandi caratteri le accuse di un padre: “Pedofilia, la denuncia del padre di una bambina: un padre molestò mia figlia, lo hanno coperto”. Il sacerdote accusato di “semplice” palpeggiamento, ha oltre settant’anni, e nessuna denuncia precedente alle spalle. A inguaiarlo le parole di una bambina di sette anni. Il Giornale spiega che la denuncia della bambina è certamente credibile. Gran parte della letteratura giuridica e psicologica dice il contrario: le testimonianze dei bambini, senza il sostegno di prove concrete, sono del tutto inaffidabili, in quanto i bimbi sono troppo influenzabile, sotto mille aspetti. Ma il giornalista che ha confezionato il titolone e l’articolo, non sa nulla. Chi c’è dietro la bambina? Un uomo con problemi economici e non solo, che era stato sempre aiutato dalla Caritas e dallo stesso don Marco, come dichiara lui stesso: “Prima di allora, io con i salesiani avevo sempre avuto un buon rapporto. Con me erano stati generosi, mi avevano aiutato quando ero in difficoltà. Ero un ‘mammo’, un padre single con due figli, e faticavo ad arrivare a fine mese”. Poi aggiunge: “Dopo la mia denuncia è cambiato tutto. Ci hanno chiuso le porte dell’oratorio… Hanno detto in giro che mia figlia si era inventata tutto perché io volevo estorcere del denaro alla chiesa. Ma quale padre al mondo costringe la figlia a inventarsi un racconto così?”. Nessun padre?
La cronaca ce ne offre decine e decine: ad esempio il padre che spinse il figlio Jordan Chandler ad accusare ingiustamente Michael Jackson per estorcergli 20 milioni di dollari. Avvenire del 3 aprile racconta: “Don Marco, il salesiano accusato di molestie a una bambina… è tornato spontaneamente nel 2008 dal Brasile per dimostrare al magistrato la propria innocenza. Ma nessuno lo ha detto… Sulla vicenda è in corso un processo. Tutti sono convinti dell’innocenza di don Marco, a cominciare dalla sua vecchia parrocchia. E l’ispettore dei salesiani di Milano, don Agostino Sosio, ricorda di aver rigettato una richiesta di denaro del padre per non sporgere denuncia. A quel punto la congregazione è andata fino in fondo per difendere in tribunale il sacerdote”. Aspettiamo dunque la sentenza, sebbene per il Giornale, questa volta in perfetta sintonia con i metodi dei quotidiani di sinistra, i preti denunciati meritano già la condanna e il linciaggio, almeno mediatico, ben prima dell’accertamento dei fatti. Solo notiamo che le prove di un palpeggiamento non si troveranno mai. Rimane quindi una domanda: è più credibile il settantasettenne don Mario, una vita al servizio degli altri, o l’accusatore in perenne ricerca di denaro, di cui sopra?
Tre preti bresciani: coinvolti tutti e tre nella piscosi collettiva di Brescia, a cui Antonio Scurati ha persino dedicato un romanzo. La psicosi inizia nel 2002: piano piano per contagio vengono coinvolti appunto 23 bambini, tre preti, sei maestre e bidelli d’asilo. I tre sacerdoti sono: don Armando Nolli, don Amerigo Barbieri, don Stefano Bertoni. Scrive Repubblica: “Dodici persone in tutto che rappresentano in un colpo solo tutto quello che Brescia ha sempre portato come modello: il suo sistema educativo, le sue strutture sociali, la sua vocazione di cooperazione e solidarietà, la sua chiesa che da quindici secoli ne costituisce l’anima istituzionale, politica e spirituale. Una macchina sociale che rischia di collassare per aver tradito i suoi figli. Per questo da più di un anno, da quando questo incubo collettivo è incominciato, qualcosa nell’anima della città si è rotto. Difficile pensare che non sia successo nulla, impossibile pensare che sia successo qualcosa” (18/10/2004). L’assoluzione finale per tutti gli indagati, perché “i fatti non sussistono”, arriva il 31 marzo 2009. Ancora una volta esperti e magistrati concludono che le dichiarazioni di bambini sotto pressione degli adulti e delle loro convinzioni, non sono attendibili.
Dai casi cui si è accennato, ma se ne potrebbero elencare molti altri, emergono alcune considerazioni.
La prima: l’accusa di pedofilia non dovrebbe essere sufficiente a distruggere una persona, prima che la colpa non sia stata provata. Se la colpa è certa, ben venga l’evangelica macina al collo. Lo stato faccia il suo dovere, la chiesa, soprattutto, vigili sui suoi preti e seminaristi: torni alle regole pre Concilio, allorché, prima che uno fosse accettato in seminario, veniva vagliato e controllato con grande scrupolo e severità. I vescovi, soprattutto, facciano il loro dovere: che non è anzitutto quello di denunciare al tribunale un prete che sbaglia, anche perché non è così facile accertarlo, quanto quello di conoscere, frequentare, sostenere come un padre i suoi seminaristi e i suoi sacerdoti (cosa che purtroppo avviene assai di rado).
La seconda: in molti casi sacerdoti e religiosi vivono spesso a contatto con situazioni limite, con tossici, poveri, squilibrati, sbandati, emarginati. Da chi vanno a chiedere aiuto immigrati senza lavoro, persone che hanno perso tutto, o in difficoltà di vario tipo? Alla Caritas, alla San Vincenzo, alle mense dei poveri che nascono in moltissime città dal volontariato cattolico, alle porte delle canoniche… Non è dunque raro che proprio da costoro i sacerdoti vengano talora ripagati con accuse infamanti, per estorcere denaro, per malintesi, scontri, ricatti, vendette… Come nei “Miserabili” di Victor Hugo è frequente che il beneficiato approfitti del benefattore, specie quando le sue condizioni sono disperate. Si tratta di una situazione ben conosciuta, per esempio, da chi ha avuto a che fare con le comunità terapeutiche di tossici, in cui non di rado succede che il rapporto di amore-odio tra i drogati e i loro aiutanti-“guardiani”, laici o preti che siano, finisca in accuse terribili nei confronti di quest’ultimi, sovente puramente calunniose. Inoltre la scelta di stare accanto agli emarginati, procura talora nemici pericolosi: magnaccia, mafiosi, sfruttatori, cui l’impegno di un sacerdote coraggioso dà immenso fastidio.
In tutti questi casi l’accusa di pedofilia può essere una calunnia, e rende molti sacerdoti, non dei “mostri”, ma delle vittime della loro stessa carità e generosità. Vittime, per di più, infangate e derise dal pregiudizio e dall’odio che la superficialità di molti media alimenta, non senza colpa.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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