L’oligarchia populista e teocratica iraniana, per bocca del suo massimo rappresentante, aveva promesso il bagno di sangue, il lavacro rivoluzionario, e così è stato. Dopo il furto di voti, la rapina di vite umane. L’oscenità è testimoniata da notizie e immagini impossibili da accettare come ordinarie persino da occhi e da spiriti abituati ormai a tutto. La particolare spietatezza della repressione è dimostrata dall’uso delle squadracce di regime, cecchini e bastonatori volontari che uccidono a caso nella folla in nome dell’ideologia e del potere di intimidazione della violenza. Se esistesse una vera opinione pubblica occidentale, come per certi aspetti è accaduto dopo l’11 settembre, questo è il momento in cui dovrebbe farsi sentire in ogni parte del mondo libero perché sia offerto il castigo che meritano ai sanguinari reggitori di un paese sfortunato in cui islamismo radicale, follia rivoluzionaria, sharia e bomba atomica si inseguono in una corsa verso l’abisso ormai da trent’anni.
Niente dimostra meglio la cattiva qualità delle illusioni di Barack Obama, per non parlare dei più stupidi tra i suoi pifferai euro-occidentali, come la sorte politica inclemente riservata al suo celebre discorso del Cairo: Obama non aveva la specifica intenzione di legittimare i teocrati di Teheran e il feroce potere laico e negazionista di Mahmoud Ahmadinejad, uno sfrontato caporione che questo giornale fece conoscere a suo tempo innescando a Roma la protesta europea contro il proposito di cancellare Israele dalla faccia della terra; ma l’effetto delle sue ambiguità strategiche, delle contorsioni culturali e delle penitenze varie ha rischiato di essere proprio quello.
La mano di Obama è stata stesa al regime, in cambio della promessa di aprire il pugno, nel momento peggiore, nel momento della truffa e del tradimento del già fragile patto elettorale. Ora le avanguardie militanti del popolo iraniano cercano di dare un colpo decisivo alla arroganza della dittatura invocando rispetto per le scelte elettorali e libertà, e trascinando nelle strade, in una sfida sanguinosa, un pezzo della nomenclatura khomeinista (i Moussavi, i Rafsanjani, i Khatami). Lo hanno fatto con manifestazioni di massa paragonabili a quelle contro lo Shah e con combattimenti di strada in cui la durezza inaudita della repressione si combina con il suo carattere tutto politico, sottolineato dalla funzione nefasta delle milizie di regime scatenate nella carneficina a surrogare poteri di stato meno inclini a sgozzare ragazze e ragazzi vestiti di verde da buoni musulmani. Lo hanno fatto evocando il martirio contro la parola, che dovrebbe essere sacrale ed è stata avvilita a faziosità politica, della Guida Suprema della rivoluzione, Khamenei, l’uomo al quale Obama aveva appena proposto un dialogo globale.
Spiace per i cosiddetti realisti, consiglieri esclusivi del presidente americano, ma oggi gli unici intellettuali strategici d’occidente capaci di realismo non autolesionista sembrano i neoconservatori di Washington. Su loro consiglio, e con il contributo realista dei Cheney e dei Rumsfeld, le amministrazioni di Bush Jr. hanno costruito, sulle macerie del saddamismo, l’Iraq costituzionale di Ali al Sistani, oggi il più rispettato chierico islamico della regione (Iran compreso), uomo di orientamento moderato e laico fino al punto in cui può esserlo un teologo sciita di Najaf. E oggi questi decrittatori del mondo subito precedente e immediatamente successivo all’11 settembre non si augurano il fallimento del successore di George W. Bush, ma lo incitano con maggiore o minore severità a prendere atto, ciò che sta facendo con molta fatica, del fatto che nel movimento della storia possono essere contemplate diverse qualità di democrazia, ma non un ibrido di democrazia e teocrazia jihadista. Con le manifestazioni e gli scontri che seguono alle elezioni del 12 giugno, come ha notato Ruel Marc Gerecht in un eccellente articolo per il Weekly Standard, pubblicato dal nostro sito web (www.ilfoglio.it), nelle strade di Teheran sono cadute le ultime illusioni di poter gioire di una libertà gentile, di un qualche benessere del corpo e dell’anima, di una qualunque forma democratica sotto il segno della sharia sposata al nazionalismo e profetismo radicale.
sabato 20 febbraio 2010
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