Inchiesta sui grandi appalti. I messaggi del cardinale accusato di corruzione dai pm di Perugia: "Io trasparente, ma qualcuno vuol colpirmi. Anche dentro la Chiesa". Poi chiarisce: "Non ho trovato casa a Bertolaso. Balducci mio consulente"
Il cardinale Crescenzio Sepe, indagato per corruzione, ha indirizzato una lettera ai fedeli napoletani per difendersi dalle accuse della Procura di Perugia. Nel corso di una conferenza stampa ieri ha assicurato di aver sempre agito nella «massima trasparenza» avendo come obiettivo «il bene della Chiesa». E ha concluso dicendo di perdonare «quanti dentro e fuori la Chiesa hanno voluto colpirmi».
Sepe, dopo aver ricordato il suo impegno a valorizzare il patrimonio di Propaganda Fide nei cinque anni trascorsi alla guida del dicastero, ha risposto nel merito dei tre addebiti che gli sono stati mossi.
Sepe, dopo aver ricordato il suo impegno a valorizzare il patrimonio di Propaganda Fide nei cinque anni trascorsi alla guida del dicastero, ha risposto nel merito dei tre addebiti che gli sono stati mossi.
Per quanto riguarda l’appartamento dato in uso a Guido Bertolaso, il cardinale ricorda di aver fatto inizialmente ospitare il capo della Protezione civile presso un seminario, e di aver poi chiesto a Francesco Silvano di trovare una soluzione alternativa, «della quale non mi sono più occupato né sono venuto a conoscenza sia in ordine alla ubicazione e sia in ordine alle intese e alle modalità».
Per quanto riguarda il palazzetto di via dei Prefetti, venduto al ministro Pietro Lunardi, secondo i magistrati a un prezzo di favore, Sepe ricorda che «si trattava di un immobile che presentava in maniera evidente e seria segni di vecchiaia e di precarietà». Furono i tecnici della Congregazione a quantificare la cifra per risistemarlo e visti i costi troppo alti, si stabilì di venderlo: «Gli stessi tecnici ne stimarono il valore», tenendo conto del suo stato e del fatto che era totalmente occupato da inquilini.
Per quanto riguarda il palazzetto di via dei Prefetti, venduto al ministro Pietro Lunardi, secondo i magistrati a un prezzo di favore, Sepe ricorda che «si trattava di un immobile che presentava in maniera evidente e seria segni di vecchiaia e di precarietà». Furono i tecnici della Congregazione a quantificare la cifra per risistemarlo e visti i costi troppo alti, si stabilì di venderlo: «Gli stessi tecnici ne stimarono il valore», tenendo conto del suo stato e del fatto che era totalmente occupato da inquilini.
«Tutto ciò - ha continuato il cardinale -, la stima e la determinazione del prezzo di vendita avveniva in un’epoca nella quale non era stata concretizzata alcuna offerta di acquisto». Solo successivamente Lunardi si sarebbe fatto avanti per comprare. E «la somma incassata per altro immediatamente venne trasferita all’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede) perché fosse destinata a tutta l’attività missionaria nel mondo».
Infine la terza accusa, relativa ai lavori «di messa in sicurezza statica di un lato del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna», che aveva subito infiltrazioni e si era deteriorato a causa delle vibrazioni per il passaggio della metropolitana: «Fu accertata la competenza dello Stato italiano e furono eseguiti i lavori di ripristino e ristrutturazione con onere parzialmente a carico della pubblica amministrazione». Sepe ha spiegato di essersi avvalso della consulenza «di tre persone che avevano titoli ed esperienza per assicurarmi un qualificato contributo»: il magistrato De Lise, Angelo Balducci e «il dottor Silvano, amministratore dell’Ospedale Bambin Gesù, mio collaboratore già durante il Giubileo».
Ma il cardinale, che ha una lunga esperienza curiale e diplomatica, ed è stato strettissimo collaboratore di Papa Wojtyla, ha anche dichiarato che nel 2006 Benedetto XVI non gli impose di andare a Napoli prospettandogli la possibilità di rimanere in Curia. E a proposito della gestione di Propaganda Fide ha aggiunto: «Ho fatto tutto avendo i bilanci puntualmente approvati dalla Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede dalla Segreteria di Stato, la quale con una lettera inviatami a conclusione del mio mandato di Prefetto volle finanche esprimere apprezzamento e stima per la gestione amministrativa». Una puntualizzazione fatta braccio, che fa capire quanto siano state problematiche le dichiarazioni anonime fatte filtrare da Oltretevere ad alcuni media, dopo che a metà della scorsa settimana la procura di Perugia aveva avvisato la Segreteria di Stato dell’indagine su Sepe. Dichiarazioni nelle quali si affermava che le eventuali colpe andavano attribuite alla «vecchia gestione», cioè al precedente pontificato, e con le quali il Vaticano era sembrato voler abbandonare al suo destino l’arcivescovo di Napoli. Posizione corretta domenica dal portavoce padre Federico Lombardi.
Anche il passaggio conclusivo di Sepe, nel quale il porporato dice di accettare «la croce» e di perdonare «quanti dentro e fuori la Chiesa hanno voluto colpirmi» è emblematico e sembra quasi lasciar intendere che sia in atto una sorta di regolamento di conti interno.
Ma significativi sono anche i segnali che arrivano dai palazzi vaticani. L’Osservatore Romano ha elogiato un editoriale con cui, su La Stampa, Gian Enrico Rusconi è intervenuto in favore di Benedetto XVI e della sua azione di pulizia, creando un collegamento tra l’omelia papale di domenica scorsa contro le tentazioni del potere per i sacerdoti e «le notizie che sono riportate contemporaneamente dalla stampa quotidiana», cioè il caso Sepe.
Ma significativi sono anche i segnali che arrivano dai palazzi vaticani. L’Osservatore Romano ha elogiato un editoriale con cui, su La Stampa, Gian Enrico Rusconi è intervenuto in favore di Benedetto XVI e della sua azione di pulizia, creando un collegamento tra l’omelia papale di domenica scorsa contro le tentazioni del potere per i sacerdoti e «le notizie che sono riportate contemporaneamente dalla stampa quotidiana», cioè il caso Sepe.
Nei sacri palazzi è palpabile la preoccupazione. Il Segretario di Stato Bertone ha promosso un’ispezione interna allo Ior per verificare la titolarità dei conti riconducibili alla «cricca». Balducci ha avuto la delega per la supervisione degli immobili di Propaganda Fide per altri quattro anni dopo la partenza di Sepe. E nelle prossime ore dalla Procura di Perugia dovrebbe partire una rogatoria verso il Vaticano per per fare luce sui conti della Congregazione dal 2004 al 2006.
Nessun commento:
Posta un commento