A poche ore dalla tragedia sulla «Mavi Marmara», migliaia di chilometri più a nord, Roberto Jarach, veniva eletto presidente della Comunità Ebraica di Milano (6 mila iscritti, 22 sinagoghe) dopo aver vinto - 10 seggi su 19 - con la sua lista «laica», ovvero lontana da opposti integralismi, una infuocata campagna elettorale. Primo segnale della presidenza Jarach: una giunta monocolore («Non voglio trovarmi a gestire compromessi o interminabili discussioni») per affrontare con decisione il pesante indebitamento della Comunità: «11 milioni di debiti con le banche, altri 3 con fornitori». Silenzio invece sul blitz israeliano. «Ho preferito tacere - spiega Roberto Jarach - non sono un esperto di geopolitica e, pur avendo 42 cugini in Israele, non vivo quella realtà; non mi permetto quindi di dare giudizi sulle politiche israeliane. Ma c’è di più. Credo che la confusione di ruoli sia causa di non poche difficoltà nei rapporti tra le nostre Comunità e l’esterno ». Erede di due grandi famiglie - gli Jarach e gli Schapira - dell’industria italiana e della Comunità ebraica milanese (suo nonno Federico e suo padre Guido sono stati per anni presidenti), Roberto Jarach sottolinea: «A rappresentarci sui temi di politica nazionale e internazionale c’è l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il suo presidente, Renzo Gattegna, ha espresso con giusto equilibrio cordoglio per le vittime fermo restando il diritto alla sicurezza e alla vita dello Stato d'Israele. Tutt’altro ha fatto invece Riccardo Pacifici (presidente della Comunità di Roma ndr). Del resto, Pacifici considera Gattegna un suo inferiore: anche a gennaio davanti al Papa, Gattegna ha parlato per 4 minuti, Pacifici per 22! A Milano succederebbe l’esatto contrario: io parlerei pochi minuti e lascerei più tempo a Gattegna. Ecco perché parlo di confusione di ruoli». Nella bella casa milanese di Roberto Jarach, nato nel 1944 a Lugano (i suoi genitori scampati all’eccidio nazista di Meina si erano rifugiati in Svizzera) sono conservate le carte di un vecchio processo. Suo nonno Federico, brillante industriale, tra i fondatori di Assolombarda e presidente della Federazione delle industrie metallurgiche (l’attuale Federmeccanica) a causa delle leggi razziali fu costretto a cedere la sua azienda, le «Rubinetterie Riunite», all’Edison dell’ingegner Valerio. «In teoria - ricorda Jarach - era un contratto simulato. Ma, alla fine della guerra non riuscì a recuperare niente; anche il Tribunale gli diede torto. Mio padre Guido ricominciò da una piccola azienda di macchine per stampa ». Molto meglio andò a suo nonno materno, Carlo Schapira, patron del Cotonifico Bustese (12 stabilimenti, vero impero del tessile) grazie al suo socio, Antonio Tognella, che custodì e, poi, gli restituì la proprietà. Forte impegno nella comunità, nell’associazionismo, nel mondo dell’impresa. In questo milieu, alto borghese, si è formato il laico e inclusivo Roberto Jarach: «L’identità si difende con la profondità delle proprie convinzioni non con le chiusure». E ancora: «E’ arduo pensare che un gruppo della nostra dimensione possa sperare di sopravvivere con l’endogamia». Fisico da attore, laureato in ingegneria al Politecnico, ufficiale degli alpini, sposato con due figli, nel Consiglio della Comunità per nove mandati Jarach nel 2005, tra mille polemiche, fu costretto a interrompere il suo primo mandato da presidente sull’onda delle dimissioni del rabbino capo, Giuseppe Laras. L’accusa? Essere troppo aziendalista. «Ma una corretta gestione economica - sostiene Jarach - è il presupposto fondamentale per garantire i principi e valori della comunità ». Cinque anni dopo, con tanti debiti causati da una cattiva gestione, l’elezione di Roberto Jarach, «l'aziendalista», è diventata un plebiscito. Si apre così un nuovo capitolo nella complessa, affascinante storia della dinastia Jarach.
Chiara Beria D'Argentine, La Stampa, 12 giugno 2010
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