Marco Garatti, Matteo Dell'Aira, Matteo Pagani Gauzzugli Bonaiuti. Sono questi i nomi dei tre italiani, operatori di Emergency, che domenica, insieme ad altre sei persone, sono stati prelevati dall'ospedale di Laskhar Gha nell'ambito di un'operazione congiunta delle forze di sicurezza afghane e di quelle inglesi del contingente ISAF. I nove sono accusati di far parte di un complotto per uccidere il governatore della provincia di Helmand, Gulab Mangal. All'interno dell'ospedale è stato infatti rinvenuto diverso materiale esplosivo e numerose armi (pistole, granate e due cinture esplosive). Immediata la reazione del fondatore di Emergency, Gino Strada, che ha parlato di «rapimento», accusando le forze di polizia afghane di trattenere i medici italiani indebitamente. «Si tratta di un'aggressione grottesca e ingiustificata, che non trova una spiegazione razionale», ha dichiarato il fondatore della ONG, che ha lanciato pesanti accuse contro il governo di Kabul e le forze della coalizione: «Qualcuno ha messo in piedi questa montatura perché vuole che Emergency, un testimone scomodo, lasci l'Afghanistan».
Decisamente più cauto il governo italiano, che se da un lato, attraverso le parole del sottosegretario Mantica, ha espresso «perplessità», osservando come l'operato dell'organizzazione di Strada «da umanitario sia diventato un po' troppo politico», dall'altro ha invitato il fondatore di Emergency ad una maggiore «prudenza». In un'intervista pubblicata lunedì da La Stampa, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha consigliato a Strada di «evitare di accusare il governo afghano, di gridare al complotto della NATO e di tirare dentro il governo italiano che non è stato informato di questa operazione. Sarebbe più saggio se, in attesa di sapere come sono andate le cose perché non ha conoscenza del caso specifico, prendesse intanto le distanza dai suoi collaboratori. Può sempre succedere di avere accanto, inconsapevolmente, degli infiltrati».
In attesa di maggiori dettagli ed informazioni, dunque, la linea su cui si muove il governo italiano è quella della prudenza. Significative anche le parole del ministro degli Esteri, Franco Frattini, che a Sky TG24 ha dichiarato: «Prego veramente, da italiano, che non ci sia nessun italiano che abbia direttamente o indirettamente compiuto atti di questo genere. Lo prego davvero di tutto cuore, perché sarebbe una vergogna per l'Italia». Di «gravissimo danno» ha parlato anche il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che, dopo aver sottolineato come «già in occasione di altre vicende emersero opinabili posizioni e contatti di questa organizzazione» (il riferimento è agli episodi seguiti al rapimento del giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo, ndr), ha poi aggiunto: «Il nostro governo deve tutelare la reputazione dell'Italia che impegna le proprie Forze Armate in Afghanistan e in altre parti del mondo a tutela della pace e della libertà minacciate dal terrorismo; chi dovesse vigilare poco, e siamo generosi a limitarci a questo, crea un gravissimo danno. La nostra linea è chiara. Quella di altri no».
Intanto l'ambasciatore italiano a Kabul, Claudio Glaentzer, ha incontrato i nostri connazionali coinvolti nella vicenda, trovandoli «in discrete condizioni». Le autorità di Kabul hanno promesso all'ambasciatore che l'indagine sulla vicenda sarà «rigorosa e spedita». Da parte loro i medici italiani starebbero «collaborando» con le autorità locali, secondo le dichiarazioni del portavoce del governo di Helmand, Daud Ahmadi, che ha smentito il presunto scoop del Times,, che aveva parlato di «confessione» degli italiani. Una «notizia erronea», come l'ha definita il ministro Frattini, un «caso di cattiva informazione resa al mondo intero», insomma un'occasione persa dalla stampa inglese per tacere, in attesa di maggiori certezze. Perché la situazione resta ancora molto incerta. Difficile infatti dire come stiano realmente le cose, anche se appare abbastanza improbabile che il personale italiano possa essere implicato direttamente nel progetto di attentato ai danni del governatore. Più probabile, invece, che qualcuno, magari del personale locale, abbia sfruttato il centro medico come «base logistica», facendo affidamento sullo status dell'ospedale, considerato «zona neutrale».
Ed è proprio qui il problema di Emergency e di altre ONG operanti nei teatri di guerra come quello afghano: al di là dell'importante lavoro che svolgono in tutto il mondo, e nonostante le buone intenzioni dei medici che operano negli ospedali, che nessuno mette in dubbio, resta il fatto che sono inevitabilmente costretti a muoversi in una «zona grigia», fatta di delicati compromessi. Per questo non ci si può stupire e gridare al complotto se poi accadono incidenti come quello di Laskhar Gha. E siccome «non tutti i mali vengono per nuocere», speriamo che almeno questo incidente aiuti tanti ad aprire gli occhi sul reale stato delle cose, perché non basta apporre un cartello con su scritto «niente armi» all'ingresso dell'ospedale per tenere lontani i terroristi.
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