Un’intercettazione è una delle non poche prove che, secondo i servizi segreti afghani, incastrerebbe Marco Garatti, il chirurgo di Emergency agli arresti in Afghanistan. Frasi gravi, parole compromettenti, che dimostrerebbero almeno la consapevolezza del medico italiano sulla presenza delle armi nell’ospedale. Secondo le fonti de il Giornale non c’è solo questo «ma pure frasi più pesanti». Il governo italiano è al corrente dell’intercettazione. La registrazione è stata effettuata dalla Nds, la Direzione nazionale per la sicurezza, guidata da Amrullah Saleh, che tiene sotto chiave i tre operatori di Emergency. Gli uomini dei servizi afghani puntano il dito contro Garatti e Matteo D’Aira, il capo infermiere, mentre il giovane Matteo Pagani non sarebbe coinvolto e potrebbe venir ben presto scagionato.
Ieri sera l’inviato speciale della Farnesina Massimo Attilio Iannucci doveva vedere Saleh, il capo della Nds. Oggi alla 9.30, ora locale, è previsto l’incontro della delegazione italiana con il presidente Hamid Karzai. Al capo dello Stato ha scritto una lettera il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Secondo l’intelligence afghana, l’intercettazione è una delle presunte prove cardine del coinvolgimento di Garatti. Tutti quelli che lo hanno conosciuto, compreso chi scrive, stentano a crederlo. Ieri Garatti ha compiuto 49 anni e in Afghanistan dava sempre l’impressione di un chirurgo instancabile, che si metteva a piangere se non riusciva a salvare i bambini dilaniati dalla guerra. Cattolico bresciano, senza mai dare segni di estremismo, non aveva risparmiato qualche critica alla linea dura di Gino Strada (nella foto). Anche per questo è estremamente difficile immaginarlo nei panni di un bombarolo in camice bianco.
Inoltre il chirurgo era di base a Kabul. A Lashkar Gah, dove sono state trovate le armi e arrestati i tre di Emergency, era arrivato da pochi giorni, al massimo una settimana. Forse era andato nella provincia di Helmand proprio per risolvere il problema di qualche infiltrazione non gradita nell’ospedale. Ne ha parlato al telefono ed è rimasto incastrato.
«Sicuramente le armi non le ha introdotte lo staff internazionale di Emergency - ribatte Gino Strada -. Forse è stata qualcuna delle guardie afghane, forse corrotta o ricattata. O forse le ha portate chi ha fatto la perquisizione».
A Kabul, però, pochi credono alla tesi innocentista. Alcuni giornalisti afghani sono stati allertati per una possibile conferenza stampa oggi o domani. L’intelligence di Kabul, irritata per le reazioni all’arresto di Emergency in Italia, starebbe decidendo se rendere pubbliche le presunte prove più compromettenti. Non solo: interpreti e guide, che lavorano normalmente per la stampa internazionale, sono stati messi in guardia da uomini vicini ai servizi afghani. «Se lavorate per i giornalisti italiani» che stanno arrivando a Kabul «rischiate di fare la fine di Adjmal Naqshbandi» (l’interprete dell’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, rapito dai talebani e poi decapitato).
L’inviato della Farnesina Iannucci e l’ambasciatore a Kabul, Claudio Glaentzer, hanno visto ieri mattina Matteo Pagani, Marco Garatti e Matteo Dell’Aira. L’incontro è avvenuto separatamente con ognuno degli italiani agli arresti essendo coinvolti nella stessa inchiesta. Secondo l’inviato speciale, i tre «hanno tenuto a ringraziare il direttore della struttura per il trattamento finora garantito e il governo italiano per l’attenzione con cui sta seguendo la vicenda». A parte le dichiarazioni d’ordinanza i detenuti stanno bene. Hanno ricevuto dei libri e sono state portate loro anche delle penne e carta per scrivere. Uno dei tre ha problemi di asma e gli sono state consegnate delle medicine fornite da Emergency. Ovviamente non hanno potuto parlare delle indagini, ma solo della loro salute e del trattamento da parte dell’intelligence. L’incontro con i diplomatici è avvenuto in un edificio nuovo di zecca dei servizi segreti, alle porte di Kabul. Un centro di detenzione speciale della Nds, che ha vari palazzi del genere.
L’inviato della Farnesina Iannucci e l’ambasciatore a Kabul, Claudio Glaentzer, hanno visto ieri mattina Matteo Pagani, Marco Garatti e Matteo Dell’Aira. L’incontro è avvenuto separatamente con ognuno degli italiani agli arresti essendo coinvolti nella stessa inchiesta. Secondo l’inviato speciale, i tre «hanno tenuto a ringraziare il direttore della struttura per il trattamento finora garantito e il governo italiano per l’attenzione con cui sta seguendo la vicenda». A parte le dichiarazioni d’ordinanza i detenuti stanno bene. Hanno ricevuto dei libri e sono state portate loro anche delle penne e carta per scrivere. Uno dei tre ha problemi di asma e gli sono state consegnate delle medicine fornite da Emergency. Ovviamente non hanno potuto parlare delle indagini, ma solo della loro salute e del trattamento da parte dell’intelligence. L’incontro con i diplomatici è avvenuto in un edificio nuovo di zecca dei servizi segreti, alle porte di Kabul. Un centro di detenzione speciale della Nds, che ha vari palazzi del genere.
Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha informato i familiari degli arrestati che stanno bene. Il fratello di Garatti, uno dei trattenuti a Kabul, ha confermato «piena fiducia» nel lavoro svolto dall’Italia. Maria Gabriella Guerra, madre di Matteo Pagani, ha chiesto in questo momento «così difficile» di «evitare le strumentalizzazioni» e di «non interferire con il lavoro della diplomazia».
Oggi, in piazza San Giovanni a Roma, Emergency ha indetto una manifestazione di solidarietà con gli arrestati. All’iniziativa hanno aderito l’Italia dei valori e il Partito dei comunisti italiani. «Non vogliamo dare alcun carattere politico alla manifestazione - ha sottolineato Strada -. Abbiamo invitato tutti i partecipanti a lasciare a casa bandiere, sciarpe o altro. Saranno ammesse solo le bandiere della pace».
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