Perchè preferiamo l'Inferno al Paradiso? Perchè
dovremmo leggere la Commedia di Dante Alighieri a settecento anni dalla
sua composizione? E' la domanda che pone Giovanni Fighera, nel suo
ultimo lavoro, «Paradiso. In viaggio con Dante verso le stelle»,
SugarcoEdizioni (2019), pag. 215. e. 18,00. Basterebbe la risposta che
dà lo stesso Dante nella lettera inviata a Cangrande de la Scala: Il
fine della Commedia è quello di “rimuovere gli uomini finchè sono ancora
in vita dalla condizione di infelicità e accompagnarli allo stato della
beatitudine”.
Sostanzialmente
l'opera dantesca è un viaggio verso la felicità e la salvezza. Composto
in tre cantiche di 33 canti ciascuna; l'Inferno di 34 canti, una in
più, perchè ha il prologo. Il professore Fighera ha una certezza: «la
Commedia ci spalanca una finestra sulla vita e sull'uomo di oggi, come
del passato».
Il
viaggio di Dante rappresenta il cammino della vita di ogni uomo. In
ogni verso «la Commedia ha la capacità di illuminare la vita quotidiana e
la realtà in cui viviamo».
Dante celebra la bellezza del creato,
della natura, di Dio. “Come si fa ad essere cattivi dopo aver sentito
una musica così bella?”, ha esclamato una spia della Stasi, che stava
controllando la vita di un musicista. La stessa cosa si potrebbe dire
dopo aver letto le tre cantiche della Commedia.
Alcuni
studiosi nel 1992 hanno cercato di diffamare il capolavoro dantesco,
sostenendo che nella Divina Commedia erano presenti contenuti offensivi e
discriminatori nei confronti degli ebrei e delle razze. Pertanto
Fighera si domanda: «chi ha espresso queste opinioni ha davvero letto la
Commedia, ha visto che Dante, in base ai suoi principi, ha collocato
anche papi e imperatori nell'Inferno? Ha visto che i sodomiti non sono
posti solo nell'Inferno, ma anche nel Purgatorio, proprio come i
peccatori lussuriosi eterosessuali che possono essere collocati
all'Inferno o in Purgatorio?».
Tuttavia
nella Commedia se c'è un “discrimine” è nei confronti di tutti i
violenti, assassini, golosi, cioè di tutti i peccatori. Comunque sia
Dante che è stato esiliato in vita, ora rischia «di essere esiliato
ancora oggi, di essere
bandito dai programmi, dalle scuole, dalle università».
Se
certi uomini di cultura cercano di “esiliare” Dante, perchè non
augurargli la canonizzazione, «il maggior poeta dell'aldilà, che
senz'altro ha destato le coscienze di molti e ha accompagnato tanti
altri lungo il cammino della purificazione e della santificazione?»
Il cantore più eloquente del pensiero cristiano. E
subito si appresta ad esporre come è stato considerato dai suoi
contemporanei, dagli uomini del Novecento, ma soprattutto dalla Chiesa.
La sua opera politica, il De monarchia, è stata considerata
anacronistica, «mentre la Commedia non è stata mai posta all'indice,
malgrado compaiono nell'Inferno dantesco numerosi papi, cardinali,
vescovi».
E'
proprio a partire dal Novecento, che la Chiesa da sempre ha
riconosciuto alla Commedia, un valore dottrinale altissimo. In una
lettera di Benedetto XV, datata 28 ottobre 1914, si può leggere che
Dante «con versi né prima né dopo uguagliati, espose le più alte verità
di fede» e «non avvenne mai che si discostasse dalle verità della
dottrina cristiana». In occasione del sesto centenario della morte, il
30 aprile 1921, sempre Benedetto XV, ha dedicato a Dante una lettera
enciclica In praeclara summorum a Dante, riconosciuto come poeta ancora
contemporaneo, seppure distante nel tempo, valida guida per l'uomo
odierno: «egli, quantunque separato da noi da un intervallo di secoli
conserva ancora la freschezza di un poeta dell'età nostra; e certamente è
assai più moderno di certi vati recenti, esumatori di quell'antichità
che fu spazzata via da Cristo, trionfante sulla Croce».
Fighera ci tiene a precisare che
la dedica di un'enciclica ad un poeta, è l'unico caso nella storia.
Papa Benedetto XV esalta l'Alighieri: «nella illustre schiera dei grandi
personaggi, che con la loro fama e la loro gloria hanno onorato il
cattolicesimo in tanti settori ma specialmente nelle lettere e nelle
belle arti, lasciando immortali frutti del loro ingegno e rendendosi
altamente benemeriti della civiltà e della Chiesa, occupa un posto
assolutamente particolare Dante Alighieri».
Pertanto
sempre secondo il pontefice, la Commedia di Dante, «ha un alto e
riconosciuto valore pastorale, dal momento che molti lettori, catturati
dalla bellezza dei versi e delle storie, sono stati poi attratti alla
verità della fede cattolica e si sono convertiti». Inoltre Dante viene
riconosciuto come «Il cantore […] più eloquente del pensiero cristiano».
Dunque il papa ci esorta a dedicarci a lui con amore, «tanto più la
luce della verità illuminerà le vostre anime e più saldamente resterete
fedeli e devoti alla santa fede».
E
se qualcuno obiettasse che Dante nella sua opera si scaglia contro
rappresentanti della Chiesa cattolica, Benedetto XV prontamente risponde
che Dante nonostante si scagliasse a ragione o a torto contro persone
ecclesiastiche, «non venne mai meno in lui il rispetto dovuto alla
Chiesa e la riverenza alle Somme Chiavi».
Mentre
san Paolo VI, il 7 dicembre 1965, in occasione del VII centenario della
nascita di Dante, fece pubblicare una Lettera Apostolica Altissimi
cantus, per sottolineare il vivo interesse della Chiesa per la figura di
Dante, istituendo una Cattedra di Studi Danteschi presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Paolo
VI definisce Dante come «l'astro più fulgido», della nostra letteratura
e “padre della lingua italiana”. Infine invita ed esorta tutti noi a
onorare “l'altissimo poeta”: cantore ecumenico ed educatore del genere
umano[...]».
Infine,
esorta i contemporanei, «in un momento di crisi culturale come quella
in cui vivono, a illuminare la propria cultura 'incontrandosi con un
così alto spirito'. Dobbiamo volgere lo sguardo a Dante, perché,
'ostacolati da una selva oscura', possiamo orientarci verso 'dilettoso
monte/ch'è principio e cagion di tutta gioia' (Inferno I, vv 77-78).
Ma
anche gli ultimi tre papi hanno mostrato vivo interesse per la
Commedia. In particolare Benedetto XVI si richiama spesso alla Commedia
per presentare i santi e la Madonna. Mentre papa Francesco in occasione
del 750° anniversario dalla nascita del sommo poeta è convinto che la
Divina Commedia «può essere letta come un grande itinerario, anzi come
un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario,
ecclesiale, sociale e storico». Per il Papa, il capolavoro del poeta
fiorentino «rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui
l'umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce ‘l'aiuola che
ci fa tanto feroci' per giungere a una nuova condizione, segnata
dall'armonia, dalla pace, dalla felicità. È questo l'orizzonte di ogni
autentico umanesimo».
Inoltre
papa Francesco afferma: «Onorando Dante Alighieri, come già ci invitava
a fare Paolo VI - si legge nella parte finale del messaggio - noi
potremo arricchirci della sua esperienza per attraversare le tante selve
oscure ancora disseminate nella nostra terra e compiere felicemente il
nostro pellegrinaggio nella storia, per giungere alla méta sognata e
desiderata da ogni uomo: ‘L'amor che move il sole e l'altre stelle'».
Queste
citazioni ci fanno capire che la Chiesa, i sommi pontefici hanno sempre
apprezzato la Commedia come opera pienamente cristiana. Anzi
«attraverso le tre cantiche, ha sottolineato papa Benedetto XVI, è
suggerito per noi tutti un cammino umano e di fede per la nostra
salvezza e per la redenzione del mondo».
Al 6° capitolo del libro,(la
più importante della I Parte: “Perché leggere il Paradiso?”) Fighera
risponde ad una interrogazione fondamentale per comprendere il suo
libro: «Perché la cantica dell'Inferno avvince e appassiona, mentre
l'interesse per il viaggio di Dante scema nel secondo Regno e poi nei
Cieli del Paradiso dantesco?»
La
risposta del professore è abbastanza articolata. E' importante prestare
attenzione alle considerazioni filosofiche culturali di Fighera per
comprendere perché gli uomini contemporanei sono interessati solo
all'Inferno. A mio avviso leggendo questo capitolo si comprende anche
perché è importante leggere, studiare tutto il libro di Fighera. Un
ottimo testo che certamente non solo vuole introdurre alla lettura della
Divina Commedia, ma intende anche aiutare il credente a rafforzare la
propria fede e a salvare la propria anima.
L'epoca
contemporanea vive la propria libertà svincolata dalla verità, non sa
distinguere il bene o il male, e relativizza tutto. «Il relativismo non è
se non la forma più diffusa del nichilismo, perché considera tutte le
idee di uguale valore, per il fatto che nessuna esprime verità, ma
ciascuna di esse corrisponde a qualcosa che non vale nulla, ossia a
qualcosa che vale «zero». A questo si giunge, se si nega la verità e la
sua funzione determinante nella vita e nelle ricerche dell'uomo.
Pertanto
per Fighera l'uomo contemporaneo con un atteggiamento prometeico si è
contrapposto al Cielo, di cui ha pensato ormai di poter fare a meno.
Dopo aver abbandonato la fede nell'al di là, l'uomo ha perso anche la
fiducia nel progresso nell'al di qua e si trova, quindi, in una
situazione drammatica, in quanto non sa più in che cosa credere».
Inoltre,
«Le vite degli uomini si sono spesso ridotte a «consorzi di egoismi»,
l'uomo come individuo in senso estremo diventa un «solitario», che sa
vivere solo per sé e non per gli altri. Per queste ragioni l'uomo
contemporaneo si identifica maggiormente nell'Inferno dantesco con le
sue intense passioni, i suoi personaggi immortali e dannati, le sue
grandi tragedie».
Pertanto
secondo il professore Fighera, «La nostra epoca, amante dell'idolatria e
scevra di maestri, ama gli idoli dell'Inferno, si sente distante dallo
spirito di appartenenza e di comunità del Purgatorio e del Paradiso
danteschi. Indubbiamente, la distanza tra la concezione della vita
sottesa al poema dantesco e quella della cultura contemporanea è il
primo grande ostacolo alla comprensione e al godimento del Paradiso
dantesco. L'Inferno è, infatti, il luogo dell'individualismo, mentre il
Purgatorio è il regno in cui l'uomo si scopre «persona» (l'etimo della
parola dice che l'io risuona nel rapporto con l'altro) e l'anima vive la
dimensione della liberazione dal peccato nell'appartenenza ad un popolo
che cammina insieme.
Il Paradiso sarà, infine, il luogo della comunione universale, della
letizia dei santi, della carità (amore incondizionato che previene e
anticipa la domanda portando soccorso e aiuto), del «sorriso di Dio»
(Charles Moeller), della carità.
Il
lettore contemporaneo si sente più vicino all'Inferno dantesco anche
per la difficoltà della lingua di cui si avvale il Sommo poeta.
L'altezza e la bellezza del linguaggio, grande pregio della terza
cantica, è oggi anche uno degli ostacoli maggiori e quasi insormontabili
per un pubblico di lettori che ama sempre meno far fatica». Infatti,
«Il viaggio nel Paradiso richiede un impegno e una fatica che solo la
coscienza del pregio e del valore dell'opera permette di affrontare.
Perché
il Paradiso è davvero bello e merita di essere apprezzato? Perché il
bene è più attraente del male, i santi sono più affascinanti dei
cattivi. Questa consapevolezza attraversava il Medioevo cristiano tanto è
vero che in quell'epoca uno dei generi più diffusi e amati era quello
agiografico che raccontava le vicende di piccoli o di grandi uomini
presi e cambiati dall'amore di Gesù.
I
grandi personaggi non si trovano solo all'Inferno, ma anche in
Paradiso, ove potremo incontrare grandissime figure, che hanno segnato
la storia dell'Occidente e della cristianità: san Francesco, san
Domenico, san Benedetto, san Bernardo, san Tommaso, san Bonaventura da
Bagnoregio, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, tutti personaggi non
lasciati nella vaghezza della dimensione eterea e indistinta, ma
caratterizzati nella loro specificità e storicità terrena.
Nel Paradiso non mancherà certo l'avventura.
Anche in quel terzo regno Dante incontrerà difficoltà, conoscerà storie
belle e drammatiche, dovrà addirittura superare tre prove che
costituiscono un vero e proprio esame di baccalaureato. Solo a quel
punto il poeta potrà procedere nel viaggio fino a giungere alla visione
dei cori angelici, dell'Empireo, della Candida Rosa e, infine, di Dio,
ma non senza alcune difficoltà e l'intervento di mediatori celesti».
Nei
successivi capitoli, Fighera si indirizza a trovare le fonti storiche
della terza cantica (Il Paradiso). Inizia con il paradiso degli antichi
latini. Il riferimento è il Somnium Scipionis di Cicerone, e l'Eneide di
Virgilio. Mentre al “Paradiso” cristiano della letteratura medievale
prima di Dante, il riferimento va a Bonvesin de la Riva e Giacomino da
Verona. Subito dopo Fighera cita qualche studioso, esperto della
Commedia come l'americano Robert Hollander e David Scott Wilson-Okamura.
Infine
il testo mette in risalto la dedica del Paradiso a Cangrande della
Scala e avverte che la Commedia deve essere letta su quattro livelli:
letterale, allegorico, morale e anagogico (o religioso che riguarda la
vita ultraterrena e la salvezza dell'anima). «Solo una lettura attenta
che miri a cogliere questi quattro sensi permette di intraprendere con
Dante il viaggio esistenziale di redenzione per la propria felicità
terrena e la salvezza eterna: i due fini della vita umana».
Fighera
ammette che spesso il lettore della Commedia si limita a capire la sola
lettura allegorica senza intendere quello che dante scrive per la
nostra felicità (significato morale) e per la nostra salvezza (livello
anagogico).
Nella
II Parte, il libro di Fighera affronta “La via della Bellezza”. Il tema
della Bellezza, per il professore è un tema ricorrente dei suoi studi.
Ricordo il suo bellissimo testo di qualche anno fa, pubblicato per le
edizioni Ares, “La bellezza salverà il mondo”.
Al capitolo 14,
Beatrice diventa un maestro, perché spalanca il cuore di Dante, lo
indirizza al desiderio dell'assoluto. E qui Fighera da buon professore
di scuole superiori, può scrivere: «Il vero maestro conduce al bene, non
ferma il discepolo su se steso in maniera idolatrica». Infatti, «questa
è la differenza tra il maestro e l'idolo. Quanti idoli vengono creati
nell'epoca contemporanea a uso e consumo dei più giovani! Essi non
indirizzano mai alla verità e alla bellezza, non si pongono come
compagni nel cammino dell'esistenza, perché svelerebbero tutta la loro
inconsistenza[...]». Pertanto ammonisce il professore: Stiamo attenti ai
falsi maestri che incontriamo per strada.
Il capitolo 15 è
un elogio delle cose belle che conducono a Dio, e qui Fighera fa
riferimento alla celebre frase di Dostoevskij sulla bellezza. E' la
bellezza che salva il mondo, lo ha spiegato bene san Giovanni Paolo II
nella lettera agli artisti del 1999.
«La
vera bellezza porta al cambiamento, perché si vuole essere migliori,
come quando ci s'innamora». Il Bello porta sempre alla Verità, alla
Bontà dell'Essere.
Nella III Parte si affronta “Il Sorriso dei Santi”.
La bellezza dei santi è rigenerante, il loro sorriso accompagna il
viaggio di Dante. E' un elenco numeroso, proposto nei vari canti, si va
da Picarda Donati, a Costanza d'Altavilla, e poi c'è l'imperatore
Giustiniano, con il tema politico in primo piano. E poi l'attenzione ai
vari personaggi dell'epoca romana: Cesare, Ottaviano, Tiberio. Dal
capitolo 20 al 26, vengono posti all'attenzione del lettore alcuni
pilastri, giganti dell'Occidente cristiano: da San Tommaso d'Aquino e la
sua sapienza, a San Francesco, l'ardore della carità, San Domenico di
Guzman e l'importanza della predicazione, il “dire”. Infine San
Benedetto da Norcia, la dimensione comunitaria e lo spirito
contemplativo.
Nella IV Parte, troviamo,
“Gli esami di Dante”, anche qui la presenza di santi illustri come San
Pietro. L'ultima Parte, la V, c'è “La visione di Dio”, Dante termina il
suo lungo viaggio, tra i nove cerchi angelici, saluta Beatrice, i santi
finalmente appaiono con il loro volto e San Bernardo, la nuova guida di
Dante, lo porta alla visione del Sommo Eccelso Dio.