Jeynes è giunto a queste conclusioni, pubblicandole sulla rivista Education and Urban Society, in seguito ad una meta-analisi – ossia una ricerca riassuntiva di risultanze precedenti – con la quale ha considerato 30 studi precedenti centrati sullo stesso tema: i fattori che meglio riducono i gap sociali e, quindi, che più accrescono le opportunità. Più esattamente, lo studioso americano ha messo in luce come i giovani di colore o latino americani si trovano sostanzialmente al pari delle condizioni degli altri giovani quando crescono in una famiglia unita e frequentano la chiesa.
Questo perché quando entrambi i genitori vivono assieme – e assieme ai loro figli, ovviamente – essi investono molte più attenzioni ed energie sul piano educativo di quanto non facciano o non possano fare genitori separati o single. Questo – precisa Jeynes – non significa che anche un genitore single non possa impegnarsi al massimo risultando ottimo genitore; esattamente come non è detto che padre e madre sposati siano ipso facto educatori esemplari.
Però nella generalità dei casi – ed è ciò che in statistica conta – la famiglia solida e unita fa la differenza per giovani che, diversamente, sarebbero svantaggiati. Non solo. Il peso delle differenze familiari ha effetti più consistenti di tutte le altre differenze, razziali incluse. Ne consegue – sempre secondo Jeynes – che, se non si investe di più nella stabilità familiare, certe disparità dureranno ancora decenni; una sottolineatura non banale se si pensa che proprio nelle minoranze etniche di colore e latino americane l’instabilità coniugale e le nascite extra coniugali dilagano. Viceversa, guarda caso, la famiglia unita va forte nei quartieri più ricchi della California.
Ma torniamo alla ricerca dello studioso americano e alla sua seconda – ancor più rilevante – scoperta: quella sul ruolo decisivo della religione. Sì, perché William H. Jeynes ha scoperto che un secondo fattore che aiuta molto gli studenti – sopratutto quelli desiderosi di un certo riscatto sociale – è la forte religiosità. «Andare regolarmente in chiesa ed essere molto religiosi», ha osservato lo studioso, «porta alla più netta differenza nei traguardi tra i giovani studenti»; cosa che aiuta parecchio chi parte svantaggiato.
Come mai questo? Probabilmente «perché la fede aiuta a trovare uno senso nella vita e ad imporsi uno stile di vita disciplinato, che propizi il successo personale». Ora, è vero che queste conclusioni includono diverse confessioni cristiane e non solo quelle cattolica. Tuttavia, sarebbe miope non considerare l’importanza di questi risultati, che gettano una luce completamente diversa sul rilievo sociale della fede.
Da decenni, infatti, siamo bombardati da una cultura che ci vuol convincere che la religione sia – e debba restare – un fatto privato, quasi intimo, da condividere in cerchie isolate e ristrette. Si tratta di posizioni, addolora dirlo, che hanno attecchito anche in casa cattolica. Ciò nonostante, per un curioso paradosso, oggi sono proprio le discipline laiche – come la sociologia e lo studio delle dinamiche educative – a riabilitare la devozione, confermando quello che gli anziani e chi ci ha preceduto ha sempre avuto ben chiaro, e cioè che sì: credere fa la differenza. Fede e famiglia motori dell’uguaglianza sociale
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