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sabato 15 febbraio 2020

La Rivoluzione? Menzognera e omicida all'origine

La Rivoluzione? Menzognera e omicida all'origine

La riproposizione de Il Re degli anabattisti, di Friedrich Reck-Malleczwen, è quanto mai attuale. Narrando l'esperimento storico-religioso avvenuto a Münster a partire dal 1534, l'autore mostra come la Rivoluzione prima cambia tutto, poi distrugge tutto e alla fine divora se stessa.
La rivolta degli anabattisti
Lessi Il Re degli Anabattisti (Rusconi 1971) quand’ero studente universitario e ne rimasi scioccato. Avevo appena letto Meccanica della Rivoluzione di Augustin Cochin e qui la vedevo in atto: un luogo circoscritto, tutte le fasi obbligate del processo rivoluzionario fino al suo esito supremo, il suicidio. L’autore, Friedrich Reck-Malleczwen, nato nel 1884, era uno junker prussiano che aveva combattuto nella Grande Guerra e viveva da gentiluomo di campagna nelle sue proprietà di Chiemgau, in quel di Monaco. Qui aveva potuto assistere alla nascita del nazismo e vi aveva riconosciuto gli stessi caratteri demoniaci del cugino-rivale bolscevismo.

Nel 1933, anno dell’ascesa al potere di Hitler, si era fatto battezzare cattolico, perché la Chiesa era l’ultimo baluardo filosofico e morale a quel che stava montando. Quando certi funzionari del nuovo corso si erano presentati al suo cancello per valutare la suscettibilità di interesse pubblico della sua proprietà (leggi: esproprio) li aveva accolti col fucile in mano. Ma quando nel 1937 pubblicò Il Re degli Anabattisti la misura fu colma. Ai nazisti non era sfuggita la metafora sottesa. La tipografia che l’aveva stampata fu distrutta e le copie date alle fiamme.

Nel 1944 l’autore venne arrestato e rinchiuso nel lager di Dachau, dove trovò la morte l’anno seguente. A guerra finita fu ritrovato suo diario, poi pubblicato col titolo Il tempo dell’odio e della vergogna. Il Re degli Anabattisti rivide la luce solo nel 1958 e nel 1971, a Sessantotto scoppiato, all’editore Rusconi parve il momento adatto per riproporlo. E’ un libro fondamentale e formativo, che adesso viene ristampato da Fede&Cultura (pp. 190, €. 19).

La storia, che l’autore ripercorre quasi minuto per minuto, è questa: nel 1534 il “profeta” anabattista Jan Matthys e i suoi seguaci si diressero verso Münster, capitale della Westfalia. Lutero, infatti, aveva aperto il vaso di pandora e ognuno applicava il «libero esame» a modo suo; a nulla era valso (e varrà) a Lutero a quel punto arrampicarsi sugli specchi per far entrare in testa a tutti che l’unica interpretazione giusta della Scrittura era la sua. In breve la predicazione apocalittica di Matthys fece presa e bande di anabattisti conversero da ogni dove (anche dall’Olanda) su Münster, il cui vescovo-principe fu cacciato.

Münster diventa un regno dell’Antico Testamento: si cambiano i nomi alle strade e ai borghi e pure alle persone in senso biblico, si abolisce la proprietà privata perché i primi cristiani mettevano tutto in comune, si frustano gli oziosi, si vieta ogni “lusso” arrivando a stabilire il numero massimo dei bottoni sui vestiti. Matthys, ex fornaio di Haarlem, si era portato dietro l’amante, una ragazzina che aveva praticamente rapito. Cadde mentre incitava i suoi a resistere all’assedio che il vescovo Franz von Waldeck aveva stretto attorno alla città con truppe cattoliche e protestanti (anche i protestanti avevano cominciato a preoccuparsi).

«Libero esame»? Dopo il fornaio, il sarto: Jan Bockelson di Leyda, successore di Matthys. Per prima cosa si incoronò re di Münster, introdusse la poligamia (sempre biblica) e obbligò tutti a sposarsi, monache, preti e frati. Anche chi aveva il coniuge fuori città per lavoro doveva risposarsi. Il «re» si prese sedici mogli, ognuna scelta in base a «rivelazioni». Tutte le torri furono abbattute, perché «ciò che è in alto sia abbassato», tutti i capolavori artistici vennero distrutti, compreso l’orologio della cattedrale. Squadre di moralizzatori entravano nelle case per controllare che i precetti biblici fossero seguiti a puntino.

Per chi sgarrava, il codice penale prevedeva una sola pena: la morte. Un bambino venne decapitato perché aveva dato uno schiaffo a sua madre. A un disgraziato che aveva commesso una trasgressione che lo stesso Bockelson giudicò futile fu tagliata solo mezza testa. E così via, in un crescendo di orrori che raggiunse il parossismo quando l’assedio mise la città alla fame. Si giunse all’infanticidio a scopo alimentare. Il primo esperimento di rivoluzione in un luogo circoscritto durò un anno e mezzo, poi gli assedianti ebbero la meglio e il Re degli Anabattisti fu giustiziato. Ma era solo l’inizio, per questo Reck-Malleczwen l’aveva preso a esempio.
Non a caso Marx e Lenin studiavano con passione le opere degli utopisti precedenti. Karl Kautsky ebbe a dire: «Ci sono cari tutti, dagli anabattisti ai comunardi pa­rigini». Quest’ultimo stimava in particolare Utopia di san Thomas More, non sapendo che questo, quand’era cancelliere d’Inghilterra, aveva firmato il decreto De heretico comburendo in base al quale sei anabattisti (di cui aveva capito la pericolosità) erano finiti al rogo. Morale: la Rivoluzione prima cambia tutto, poi distrugge tutto e alla fine divora se stessa. Mendax et homicida ab initio.

San Claudio de la Colombière

San Claudio de la Colombière

«Io ti manderò un mio servo fedele e amico perfetto», aveva promesso Gesù a Margherita Maria Alacoque, la santa delle straordinarie rivelazioni del Sacro Cuore e delle grazie connesse alla devozione dei primi venerdì del mese, che allora stava vivendo nel tormento perché non creduta. Quell’uomo della Provvidenza era san Claudio de la Colombière
«Io ti manderò un mio servo fedele e amico perfetto», aveva promesso Gesù a Margherita Maria Alacoque, la santa delle straordinarie rivelazioni del Sacro Cuore e delle grazie connesse alla devozione dei primi venerdì del mese, che allora stava vivendo nel tormento perché non creduta. Quell’uomo della Provvidenza era Claudio de la Colombière (1641-1682), che nel 1675 fu scelto come superiore della casa dei gesuiti a Paray-le-Monial e divenne il confessore del vicino monastero della Visitazione dove si trovava Margherita. Il santo aveva da poco professato i voti solenni, al termine del periodo della “terza probazione” sapientemente stabilito da sant’Ignazio di Loyola, e così aveva scritto durante il ritiro spirituale: «Chiedo a Dio che mi faccia conoscere ciò che devo fare per servirlo e per purificarmi».
Terzo di sei figli, quattro dei quali scelsero la vita religiosa, era nato in un villaggio francese da una famiglia profondamente cristiana. A 17 anni si trasferì ad Avignone per iniziare il noviziato nella Compagnia di Gesù, dove nel suo animo si alternarono gioie e aridità legate al distacco dagli affetti e dal mondo, di cui in seguito scriverà: «Gesù Cristo ha promesso cento in cambio di uno, e posso dire che io non ho mai fatto nulla senza aver ricevuto, non cento in cambio di uno, ma mille volte di più rispetto a quanto avevo abbandonato». Il suo talento spinse il superiore generale a mandarlo a studiare teologia a Parigi, dove grazie alle sue virtù intellettive e morali fu segnalato a Colbert, l’economista e allora ministro delle Finanze (sotto Luigi XIV) che lo assunse come precettore dei figli. Intanto, lottava contro il suo amor proprio, offrendosi continuamente a Dio.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, completò il cammino ignaziano a Lione e il 2 febbraio 1675 pronunciò i voti solenni. Seguì l’incarico a Paray-le-Monial: i superiori lo scelsero proprio perché sapevano delle visioni di Margherita Maria Alacoque (1647-1690) e ritenevano che Claudio fosse, per pietà e prudenza, la persona giusta per quella delicatissima situazione. Quando il santo si presentò alle visitandine, la giovane suora sentì una voce interiore: «Ecco chi ti mando!». Il gesuita divenne il suo padre spirituale e capì che quell’anima era stata adornata di autentici doni mistici. Durante una Messa, Margherita vide il Sacro Cuore come una fornace ardente in cui erano immersi i cuori dei due santi: «È così che il mio amore puro - le disse Gesù - unisce questi tre cuori per sempre. Questa unione è destinata alla gloria del mio Sacro Cuore. Voglio che tu scopra i suoi tesori, lui farà conoscere il suo prezzo e utilità. A tale scopo, siate come fratello e sorella, condividendo ugualmente i beni spirituali».
Claudio accolse con umiltà ogni rivelazione che lo riguardava e si prodigò instancabilmente, con lo scritto e la parola, per diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Chiese a Margherita di scrivere le sue esperienze mistiche, salvò tante anime dai pericoli dell’eresia giansenista che aveva l’effetto di allontanare i fedeli dai Sacramenti e non si scoraggiò di fronte alle difficoltà che gli erano state preannunciate: «Rivolgiti al mio servo Claudio e digli […] che è onnipotente chi diffida di sé stesso per confidare unicamente in Me», gli aveva comunicato il Signore attraverso Margherita. Dopo 18 mesi di permanenza a Paray, ricevette l’ordine di partire per Londra come cappellano della Duchessa di York, Maria Beatrice d’Este, una cattolica fervente.
Anche in Inghilterra operò meraviglie, riuscendo a convertire molti alla Chiesa. Fu in quell’epoca che il protestante Titus Oates mentì parlando di una «cospirazione papista» ai danni del re e a cui il parlamento diede credito: numerosi cattolici innocenti furono condannati a morte e Claudio fu arrestato per «proselitismo religioso». Quattro anni prima si era visto «coperto di ferri e catene, trascinato in prigione, accusato e condannato per aver predicato Cristo crocifisso». La prigionia minò parecchio la sua salute, già indebolita da una tubercolosi incipiente, ma l’intervento di Luigi XIV gli valse la liberazione e il rientro in Francia nel 1679. Nell’inverno di due anni dopo tornò a Paray-Le-Monial. E poche settimane più tardi, il 15 febbraio 1682, arrivò la sua morte terrena. Così disse santa Margherita a chi lo piangeva: «Smettetela di affliggervi. Invocatelo con tutta la vostra fiducia, perché lui può soccorrerci».

domenica 9 febbraio 2020

La giovane destra italiana per vincere deve guardare al conservatorismo “fusionista” americano

La giovane destra italiana per vincere deve guardare al conservatorismo “fusionista” americanoLa giovane destra italiana per vincere deve guardare al conservatorismo “fusionista” americano di Eugenio Capozzi Mondo 9 Febbraio 2020 0 La conferenza internazionale sul “nazional-conservatorismo” God, honor, country tenuta nei giorni scorsi a Roma, e il successivo viaggio della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni negli Stati Uniti, rappresentano un’occasione per ragionare sul futuro del centrodestra italiano, sulle sue prospettive e sui suoi attuali problemi. La convention del 3 e 4 febbraio – organizzata da una rete di associazioni politico-culturali tra cui spiccano la Edmund Burke Foundation e la Fondazione Herzl, e per l’Italia da Nazione Futura di Francesco Giubilei – ha offerto, attraverso una partecipazione di altissima qualità, un modello molto significativo alla destra italiana, oggi divisa tra l’arrembante “securitarismo” salviniano e meloniano e l’incerta eredità liberale di Forza Italia. Un modello già evidente nelle figure a cui la conferenza è stata dedicata – quelle di Ronald Reagan e di papa Karol Woityla – e che vede nell’asse tra conservatorismo anglosassone e sovranismo centroeuropeo la sua struttura portante: imperniata sulla difesa intransigente e “muscolare” della civiltà occidentale in un mondo globalizzato instabile, pluricentrico ed altamente conflittuale. Una struttura ben sintetizzata a Roma dagli interventi ispirati di pensatori come Yoram Hazony, autore di Le virtù del nazionalismo, e Rod Dreher, autore di L’opzione Benedetto, nonché di leader conservatori come Viktor Orbàn e Marion Maréchal, oltre alla stessa Meloni. Molti sono gli utili insegnamenti che la destra italiana può trarre da quel dibattito. Possiamo riassumerli sommariamente come segue. La prima, fondamentale lezione sta nella consapevolezza che per vincere e governare efficacemente il sovranismo sviluppatosi negli anni Dieci in Europa deve ispirarsi all’unico conservatorismo in grado di rivitalizzare e consolidare le società occidentali: quello di matrice anglosassone, nell’evoluzione che da Reagan e Thatcher conduce a Trump e Boris Johnson. La destra britannica-nordamericana è infatti la sola che in Occidente ha opposto costantemente una efficace resistenza alle ideologie di sinistra, riuscendo a configurarsi come una cultura politica non puramente difensiva, ma propositiva, perché promuove società in cui le libertà individuali e l’appartenenza comunitaria vanno di pari passo. Ciò grazie al fatto che dagli anni Settanta ad oggi in quella famiglia politica si è affermata una linea “fusionista”, cioè una alleanza organica tra liberali/libertarians da un lato, tradizionalisti identitari, prevalentemente di ispirazione etico-religiosa, dall’altro. Alleanza talvolta incrinata, ma sempre rigenerata, della quale appunto Reagan è stato la sintesi più armonica, e che oggi rivive in Trump e in Johnson (in cui convivono l’eredità di Hayek e Friedman e quella di Roger Scruton). Da questo primo punto deriva una serie di conseguenze logiche, che dovrebbero essere bene comprese ed assimilate dalle forze di centrodestra nostrane, pena gravi equivoci e possibili delusioni. 1. Nessuna destra di governo vincente in Occidente può essere anti-mercatista e statalista. Il sovranismo non si può fondare sull’assistenzialismo statale né sull’isolazionismo autarchico. Eventuali misure protezionistiche (come i dazi promossi da Trump) servono non ad uccidere il mercato globale, ma a riequilibrarlo contro le distorsioni operate da modelli di capitalismo illiberale come quello cinese. Tratto comune alle destre conservatrici di governo in economia è, infatti, la liberazione delle energie della società attraverso una politica favorevole alle imprese, all’iniziativa, alla concorrenza, fondata su abbattimento sistematico della pressione fiscale, riduzione della spesa pubblica improduttiva, costi standard nei servizi pubblici: linea condivisa da Jair Bolsonaro come dai sovranisti centro- ed est-europei. Inutile dire, poi, che nel conservatorismo contemporaneo non ci può quindi essere alcuno spazio per concezioni “decrescitiste”, “economie circolari”, versioni anti-capitaliste e anti-umaniste dell’ambientalismo. 2. Simmetricamente, nessuna destra occidentale di governo può sposare una idea radicale, relativistica, puramente individualistica dei diritti civili. Una società che promuove la libertà di scelta e la libera iniziativa degli individui non produce prosperità e crescita senza la stabilità sociale data dalla coesione familiare, dalla lotta alla descrescita demografica e dalla continuità etico-culturale tra le generazioni. Il nazional-conservatorismo non può quindi essere efficace se non adotta un’impostazione identitaria e social conservative, di intransigente difesa della vita e della famiglia: sia attraverso un welfare che incoraggi matrimonio e fertilità, sia opponendosi alle derive biopolitiche relativistiche, come aborto, eutanasia, agenda LGBT di disarticolazione della paternità e maternità, e simili. Le necessarie barriere contro l’immigrazione indiscriminata ed illegale – sostenute da tutte le destre nazional-conservatrici – si inseriscono in questa comune, basilare aspirazione alla conservazione della stabilità culturale e sociale come presupposto per l’effettiva vigenza delle libertà individuali, minacciate dall’astratta ideologia multiculturalista. 3. In politica estera le destre nazional-conservatrici devono necessariamente essere filo-americane: non possono puntare né su un nazionalismo isolazionista né su alleanze imperniate su potenze eterogenee o estranee alla tradizione occidentale, come Russia, Cina o paesi islamici. L’ancoraggio all’alleanza transatlantica è una condizione indispensabile per la difesa della civiltà occidentale, dei suoi princìpi, delle sue possibilità di sopravvivenza e crescita, senza la quale il conservatorismo è privo di senso. Corrispondentemente, la destra sovranista non può che essere schierata a difesa di Israele, avamposto dell’Occidente nel Medio Oriente, della sua sopravvivenza e libertà, della sua possibilità di diventare un modello anche per gli Stati di quell’area. Questo punto – ancora solidamente conservato nell’entourage berlusconiano – sembra essere stato assimilato in maniera soddisfacente dalla Lega di Salvini, e il soggiorno statunitense della Meloni fa ben sperare anche per la sua formazione politica. Si auspica, in questo senso, che la leader di Fdi superi le resistenze che esistono ancora nella sua base e classe dirigente. 4. Infine, una destra nazional-conservatrice di governo non può affidarsi al leaderismo solitario, né alla sola strategia di comunicazione digitale, pur necessaria e inevitabile nella dialettica democratica contemporanea. Essa deve necessariamente puntare innanzitutto sulla formazione culturale capillare, a partire dal basso e dalla dimensione locale, della propria classe dirigente, istradandola verso le matrici solide del conservatorismo “fusionista”. Infatti la pura tecnica politica non è sufficiente oggi, perché in tutto l’Occidente è in corso un grande scontro innanzitutto ideologico e culturale, una “guerra di religione” in cui il nuovo conservatorismo si deve misurare con un avversario – la sinistra liberal – che detiene gran parte delle fonti più influenti della cultura di massa e impone la propria egemonia ad un livello persino psicologico. Da questo punto di vista la destra – anche in Italia – parte da una situazione incoraggiante: la grande ricchezza di associazioni, think tank, circoli culturali, case editrici, siti e pagine social di varia area conservatrice che oggi esiste, produce idee, promuove ricerche e dossier, in molti casi si impone nel dibattito politico, ed è formata in gran parte di giovani, spesso giovanissimi, appassionati ma anche informati e colti. I vertici dei partiti di centrodestra hanno oggi il compito vitale, e la grande responsabilità, di favorire un organico collegamento in rete tra questi soggetti, di stabilire una salda connessione con loro, di ascoltarli e insieme formarli: in modo da dotare finalmente la destra italiana – che su questo punto dal primo berlusconismo in poi ha sempre avuto molte difficoltà – di un nucleo attivo consapevole, non improvvisato, in grado di sostenere le durissime sfide politiche che la attendono senza farsi risucchiare o emarginare dalla cultura imperante del progressismo relativista.

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La conferenza internazionale sul “nazional-conservatorismo” God, honor, country tenuta nei giorni scorsi a Roma, e il successivo viaggio della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni negli Stati Uniti, rappresentano un’occasione per ragionare sul futuro del centrodestra italiano, sulle sue prospettive e sui suoi attuali problemi.
La convention del 3 e 4 febbraio – organizzata da una rete di associazioni politico-culturali tra cui spiccano la Edmund Burke Foundation e la Fondazione Herzl, e per l’Italia da Nazione Futura di Francesco Giubilei – ha offerto, attraverso una partecipazione di altissima qualità, un modello molto significativo alla destra italiana, oggi divisa tra l’arrembante “securitarismo” salviniano e meloniano e l’incerta eredità liberale di Forza Italia. Un modello già evidente nelle figure a cui la conferenza è stata dedicata – quelle di Ronald Reagan e di papa Karol Woityla – e che vede nell’asse tra conservatorismo anglosassone e sovranismo centroeuropeo la sua struttura portante: imperniata sulla difesa intransigente e “muscolare” della civiltà occidentale in un mondo globalizzato instabile, pluricentrico ed altamente conflittuale.
Una struttura ben sintetizzata a Roma dagli interventi ispirati di pensatori come Yoram Hazony, autore di Le virtù del nazionalismo, e Rod Dreher, autore di L’opzione Benedetto, nonché di leader conservatori come Viktor Orbàn e Marion Maréchal, oltre alla stessa Meloni.
Molti sono gli utili insegnamenti che la destra italiana può trarre da quel dibattito. Possiamo riassumerli sommariamente come segue.
La prima, fondamentale lezione sta nella consapevolezza che per vincere e governare efficacemente il sovranismo sviluppatosi negli anni Dieci in Europa deve ispirarsi all’unico conservatorismo in grado di rivitalizzare e consolidare le società occidentali: quello di matrice anglosassone, nell’evoluzione che da Reagan e Thatcher conduce a Trump e Boris Johnson. La destra britannica-nordamericana è infatti la sola che in Occidente ha opposto costantemente una efficace resistenza alle ideologie di sinistra, riuscendo a configurarsi come una cultura politica non puramente difensiva, ma propositiva, perché promuove società in cui le libertà individuali e l’appartenenza comunitaria vanno di pari passo. Ciò grazie al fatto che dagli anni Settanta ad oggi in quella famiglia politica si è affermata una linea “fusionista”, cioè una alleanza organica tra liberali/libertarians da un lato, tradizionalisti identitari, prevalentemente di ispirazione etico-religiosa, dall’altro. Alleanza talvolta incrinata, ma sempre rigenerata, della quale appunto Reagan è stato la sintesi più armonica, e che oggi rivive in Trump e in Johnson (in cui convivono l’eredità di Hayek e Friedman e quella di Roger Scruton).
Da questo primo punto deriva una serie di conseguenze logiche, che dovrebbero essere bene comprese ed assimilate dalle forze di centrodestra nostrane, pena gravi equivoci e possibili delusioni.
1. Nessuna destra di governo vincente in Occidente può essere anti-mercatista e statalista. Il sovranismo non si può fondare sull’assistenzialismo statale né sull’isolazionismo autarchico. Eventuali misure protezionistiche (come i dazi promossi da Trump) servono non ad uccidere il mercato globale, ma a riequilibrarlo contro le distorsioni operate da modelli di capitalismo illiberale come quello cinese. Tratto comune alle destre conservatrici di governo in economia è, infatti, la liberazione delle energie della società attraverso una politica favorevole alle imprese, all’iniziativa, alla concorrenza, fondata su abbattimento sistematico della pressione fiscale, riduzione della spesa pubblica improduttiva, costi standard nei servizi pubblici: linea condivisa da Jair Bolsonaro come dai sovranisti centro- ed est-europei. Inutile dire, poi, che nel conservatorismo contemporaneo non ci può quindi essere alcuno spazio per concezioni “decrescitiste”, “economie circolari”, versioni anti-capitaliste e anti-umaniste dell’ambientalismo.
2. Simmetricamente, nessuna destra occidentale di governo può sposare una idea radicale, relativistica, puramente individualistica dei diritti civili. Una società che promuove la libertà di scelta e la libera iniziativa degli individui non produce prosperità e crescita senza la stabilità sociale data dalla coesione familiare, dalla lotta alla descrescita demografica e dalla continuità etico-culturale tra le generazioni. Il nazional-conservatorismo non può quindi essere efficace se non adotta un’impostazione identitaria e social conservative, di intransigente difesa della vita e della famiglia: sia attraverso un welfare che incoraggi matrimonio e fertilità, sia opponendosi alle derive biopolitiche relativistiche, come aborto, eutanasia, agenda LGBT di disarticolazione della paternità e maternità, e simili. Le necessarie barriere contro l’immigrazione indiscriminata ed illegale – sostenute da tutte le destre nazional-conservatrici – si inseriscono in questa comune, basilare aspirazione alla conservazione della stabilità culturale e sociale come presupposto per l’effettiva vigenza delle libertà individuali, minacciate dall’astratta ideologia multiculturalista.
3. In politica estera le destre nazional-conservatrici devono necessariamente essere filo-americane: non possono puntare né su un nazionalismo isolazionista né su alleanze imperniate su potenze eterogenee o estranee alla tradizione occidentale, come Russia, Cina o paesi islamici. L’ancoraggio all’alleanza transatlantica è una condizione indispensabile per la difesa della civiltà occidentale, dei suoi princìpi, delle sue possibilità di sopravvivenza e crescita, senza la quale il conservatorismo è privo di senso. Corrispondentemente, la destra sovranista non può che essere schierata a difesa di Israele, avamposto dell’Occidente nel Medio Oriente, della sua sopravvivenza e libertà, della sua possibilità di diventare un modello anche per gli Stati di quell’area.
Questo punto – ancora solidamente conservato nell’entourage berlusconiano – sembra essere stato assimilato in maniera soddisfacente dalla Lega di Salvini, e il soggiorno statunitense della Meloni fa ben sperare anche per la sua formazione politica. Si auspica, in questo senso, che la leader di Fdi superi le resistenze che esistono ancora nella sua base e classe dirigente.
4. Infine, una destra nazional-conservatrice di governo non può affidarsi al leaderismo solitario, né alla sola strategia di comunicazione digitale, pur necessaria e inevitabile nella dialettica democratica contemporanea. Essa deve necessariamente puntare innanzitutto sulla formazione culturale capillare, a partire dal basso e dalla dimensione locale, della propria classe dirigente, istradandola verso le matrici solide del conservatorismo “fusionista”. Infatti la pura tecnica politica non è sufficiente oggi, perché in tutto l’Occidente è in corso un grande scontro innanzitutto ideologico e culturale, una “guerra di religione” in cui il nuovo conservatorismo si deve misurare con un avversario – la sinistra liberal – che detiene gran parte delle fonti più influenti della cultura di massa e impone la propria egemonia ad un livello persino psicologico.
Da questo punto di vista la destra – anche in Italia – parte da una situazione incoraggiante: la grande ricchezza di associazioni, think tank, circoli culturali, case editrici, siti e pagine social di varia area conservatrice che oggi esiste, produce idee, promuove ricerche e dossier, in molti casi si impone nel dibattito politico, ed è formata in gran parte di giovani, spesso giovanissimi, appassionati ma anche informati e colti.
I vertici dei partiti di centrodestra hanno oggi il compito vitale, e la grande responsabilità, di favorire un organico collegamento in rete tra questi soggetti, di stabilire una salda connessione con loro, di ascoltarli e insieme formarli: in modo da dotare finalmente la destra italiana – che su questo punto dal primo berlusconismo in poi ha sempre avuto molte difficoltà – di un nucleo attivo consapevole, non improvvisato, in grado di sostenere le durissime sfide politiche che la attendono senza farsi risucchiare o emarginare dalla cultura imperante del progressismo relativista.

Turchia, proposta di legge choc: stupro nullo con le nozze

Turchia, proposta di legge choc: stupro nullo con le nozze

Ancora non è stata fissata una data per discuterla, ma a Istanbul le donne sono già scese in piazza per manifestare contro. Sotto l'occhio dell'opinione pubblica, non solo turca, c'è la proposta di legge presentata dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e relativa a una misura che, in caso di nozze fra stupratore e vittima, cadrebbero le denunce d'abuso avanzate precedentemente da quest'ultima. C'è chi ha ribattezzato questa proposta di legge come "sposa il tuo stupratore". Secondo quanto scrive The Guardian, Erdogan avrebbe anche specificato che la misura varrebbe anche nel caso di nozze con una minorenne, purché la differenza d'età non superi i dieci anni.

Il precedente

Il disegno di legge non è nuovo nello scenario politico turco. Già nel 2016 era stato proposto un disegno di legge simile, infine ritirato dal parlamento turco in seguito diffusa protesta nazionale ed internazionale. Anche stavolta, le proteste hanno preso corpo nelle sedute parlamentari tenutesi dal 16 gennaio - giorno in cui è stata avanzata la proposta - e in molti hanno intonato la canzone cilena Lo stupratore sei tu divenuta simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. Ma il presidente turco sembra voler proseguire imperterrito su questa strada, nonostante le corpose proteste avvenute a Istanbul.

Donne vittime

Secondo i critici, la proposta di legge oscurerebbe la vera emergenza sociale in corso nel Paese: il fenomeno delle spose bambine, tanto quanto i frequenti femminicidi. Il gruppo attivista turco We Will Stop Feminicide denuncia che nel 2019 si sono registrati 430 episodi di femminicidio nel Paese, mentre le Nazioni Unite hanno calcolato che almeno il 38% delle donne in Turchia ha subito violenza fisica o sessuale dal proprio partner. Cifre impressionanti, che si uniscono alle tragiche stime sulle spose bambine: ne sarebbe coinvolto fra il 15% e il 32% delle ragazze turche. La legislazione turca con la recente proposta non fa che esacerbare una situazione precaria. Ma ora i turchi, le donne in primis, dicono basta.

10 Febbraio – Santa Scolastica, vergine

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Lo sai che san Giovanni Crisostomo diceva che per la bestemmia “vengono sulla terra carestie, guerre e terremoti?”

Lo sai che san Giovanni Crisostomo diceva che per la bestemmia “vengono sulla terra carestie, guerre e terremoti?”

Tolleranza inglese: bandisce il pastore sgradito agli Lgbt

  • IL CASO GRAHAM

Tolleranza inglese: bandisce il pastore sgradito agli Lgbt

Lgbt inglesi scatenati: impediscono la visita del reverendo americano Franklin Graham, uno dei più noti e seguiti pastori evangelici degli Stati Uniti. Il motivo? "È omofobo e islamofobo". Gli stadi annullano la disponibilità e la lobby gay sta facendo pressioni per negargli il visto. Ma così è il messaggio cristiano che viene censurato.
È possibile ancora parlare del messaggio evangelico, della natura umana e della morale sessuale e matrimoniale cristiana nel Regno Unito? Molti segnali preoccupanti ci indicano che il rispetto della libertà di parola e della libertà religiosa è messo in pericolo. In questi giorni tutto il mondo LGBTI inglese sta cercando di impedire la prossima visita evangelica del reverendo americano Franklin Graham, uno dei più noti e seguiti pastori evangelici degli Stati Uniti.
Graham era già stato sottoposto ad un lungo fuoco contrario nel 2017 e 2018, quando diversi parlamentari e lobby avevano richiesto al Governo di non concedergli il visto per partecipare, come ospite di onore, al Festival della Speranza del Lancashire. Allora come in questi giorni, Graham è accusato dai suoi detrattori di essere islamofobo, contrario alla lobby LGBTI e alle unioni omosex ed invece promotore/diffusore di insegnamenti troppo tradizionalisti e biblici sul matrimonio e la natura umana (maschio-femmina).
Infatti anche in questi ultimi giorni, l'evangelico, che avrebbe dovuto parlare in otto stadi nel Regno Unito tra il maggio e il giugno prossimi (Glasgow, Newcastle, Milton Keynes, Sheffield, Liverpool, Cardiff, Birmingham e Londra), è sotto attacco. Lettere e petizioni, per vietare o cancellare la disponibilità di stadi pubblici e teatri capienti, sono state promosse da organizzazioni di "diritti civili" e "diritti LGBTI".
Il centro conferenze ACC Liverpool è stato il primo a cancellare l'evento il 28 gennaio, dichiarando le opinioni di Graham "incompatibili" con i loro valori. Solo un giorno dopo, sia Sheffield che Glasgow hanno rapidamente eliminato gli eventi. In seguito alle decisioni delle arene di Liverpool, Glasgow e Sheffield all'inizio di questa settimana, le apparizioni a Birmingham, Newport e Milton Keynes sono state cancellate. Tutti i responsabili delle strutture, stadi e grandi teatri inglesi hanno accampato le medesime patetiche e contraddittorie ragioni: "A seguito di una recensione apparsa del Graham Tour”; “la nostra politica è quella di rimanere imparziale ma, durante la scorsa settimana, siamo stati informati di una serie di opinioni e commenti fatti da Graham incompatibili con i nostri valori di uguaglianza, diversità e inclusività”; “l'evento potrebbe portare a una violazione della pace, che riteniamo possa avere un effetto dirompente sul nostro staff”.
Ovviamente Graham ha minacciato di intraprendere azioni legali contro i detrattori e contro i proprietari delle sedi ‘disdette’. Lo ha ribadito nella sua recente intervista al The Scotsman del 30 gennaio, ribadendo che il suo "tour evangelico" nel Regno Unito si farà e che suoi incontri sono inclusivi e non odiosi, si tratta infatti della bellezza dell’incontro e del messaggio evangelico e cristiano.
In una lettera aperta alla comunità LGBTI inglese, pubblicata sul proprio account Facebook, Graham ha scritto: “Alcuni dicono che vengo nel Regno Unito per portare discorsi di odio contro la vostra comunità. Questo non è vero. Vengo per condividere il Vangelo, che è la buona notizia che Dio ama il popolo e che Gesù Cristo venne su questa terra per salvarci dai nostri peccati. Il problema, penso, si manifesta se Dio definisce l'omosessualità come peccato. La Bibbia dice che ogni essere umano è colpevole di peccato e ha bisogno di perdono e purificazione. La pena del peccato è la morte spirituale: separazione da Dio per l'eternità. Ecco perché è venuto Gesù Cristo. Non è venuto per condannare il mondo, è venuto per salvare il mondo dando la sua vita sulla croce in sacrificio per i nostri peccati. Invito tutti nella comunità LGBTQ a venire a sentire voi stessi i messaggi evangelici che porterò dalla Parola di Dio, la Bibbia. Sei assolutamente il benvenuto”.
Odioso e divisivo? No, evidentemente. 

Santi martiri di Nagasaki

Santi martiri di Nagasaki

Posticipando di un giorno la loro memoria liturgica per non sovrapporla a quella di sant’Agata, la Chiesa ricorda oggi il martirio avvenuto il 5 febbraio 1597 su una collina presso Nagasaki, dove 26 cristiani furono crocifissi, glorificando Cristo fino all’ultimo respiro terreno
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Posticipando di un giorno la loro memoria liturgica per non sovrapporla a quella di sant’Agata, la Chiesa ricorda oggi il martirio avvenuto il 5 febbraio 1597 su una collina presso Nagasaki, dove 26 cristiani furono crocifissi, glorificando Cristo fino all’ultimo respiro terreno.
Non era passato nemmeno mezzo secolo dall’inverno del 1551, da quando cioè san Francesco Saverio aveva lasciato il Giappone dopo aver convertito oltre mille abitanti in due anni di instancabile missione. Altri religiosi seguirono presto le orme del grande gesuita spagnolo e furono liberi di predicare. La comunità cattolica crebbe rapidamente: nel 1587 contava già oltre 200.000 battezzati, ma in quell’anno il daimyo Toyotomi Hideyoshi, il più influente presso l’imperatore, emise il primo editto contro i cristiani, ordinando di bandire i missionari dalle sue terre. Tuttavia, la misura rimase pressoché inattuata e l’opera di apostolato continuò. Il mutato atteggiamento di Hideyoshi era dovuto a più cause: il rifiuto dei gesuiti di fornire una nave per l’invasione della Corea, la saldezza delle vergini cristiane, il sospetto che l’obiettivo dei missionari, impegnati a diffondere il Vangelo e in varie altre opere di carità, fosse quello di preparare la conquista straniera.
Alla fine, nel novembre del 1596, Hideyoshi si risolse a mettere in atto la persecuzione e ordinò ai governatori da lui dipendenti di arrestare tutti i religiosi cristiani. Molti trovarono rifugio nelle campagne, ma 26 furono catturati. Si trattava di 6 francescani d’origine spagnola o portoghese, 3 gesuiti e 17 terziari francescani giapponesi. Tra loro c’era Paolo Miki, capofila del gruppo nel Martirologio, nato da una nobile famiglia nipponica e divenuto un carismatico predicatore gesuita, capace di convertire molti connazionali. I prigionieri furono prima portati in una piazza, dove subirono il taglio di un pezzo dell’orecchio sinistro. Fu solo l’inizio di un lunghissimo calvario. Per intimorire tutti i giapponesi cristiani e scoraggiare altre conversioni, Hideyoshi fece marciare i 26 da Kyoto a Nagasaki, la città dove era presente la maggiore comunità cattolica e dove i condannati arrivarono dopo 30 giorni e circa 600 chilometri di fatiche.
Contrariamente alle aspettative del tiranno, quei giorni furono un trionfo di fede. Del gruppo, che marciava intonando il Te Deum, facevano parte anche tre fanciulli di 12, 13 e 14 anni, cioè Luigi Ibaraki, Antonio Daynan e Tommaso Kozaki, i quali commossero tanti cuori induriti e si rifiutarono di rinnegare Cristo. I 26 ottennero di potersi confessare prima dell’esecuzione, preannunciata al popolo perché valesse da esempio. Quattromila cristiani si riversarono sulla collina poco fuori Nagasaki dove erano state preparate le croci e, al passaggio dei prigionieri, si prostrarono per chiedere preghiere. Quando i futuri martiri videro le croci che riportavano scritti i loro nomi, si inginocchiarono e le baciarono. I carnefici li legarono con corde e anelli di ferro, poi li innalzarono contemporaneamente sulle croci, sotto le quali stavano dei samurai armati con affilate lance di bambù. L’ordine di esecuzione fu ritardato per accrescere il terrore del supplizio.
In quel frangente si levò improvvisa la voce di uno dei crocifissi, che iniziò a intonare il Benedictus. Poi il tredicenne Antonio cantò il «Lodate, fanciulli, il Signore», seguito da Luigi e Tommaso. Un francescano cominciò la recita delle litanie a Gesù e Maria, ripetute dalla folla, mentre l’ufficiale responsabile dell’esecuzione iniziava a preoccuparsi per quanto avrebbe dovuto riferire a Hideyoshi riguardo a quell’impressionante testimonianza cristiana. Paolo Miki pregò per il perdono dei carnefici, esortò tutti alla conversione e li invitò a guardare i volti dei crocifissi, che non mostravano timore della morte, in ragione della fede in Cristo risorto. Infine arrivò l’ordine. Il francescano Filippo di Gesù fu il primo trafitto con due colpi di lancia. L’ultimo fu padre Pietro Battista, che poco prima aveva amministrato il Battesimo a una pagana muta, la quale riacquistò la parola grazie al contatto con la croce.
I fedeli si precipitarono a raccogliere con dei panni il sangue dei martiri, ma fu loro impedito di dar sepoltura ai 26, i cui corpi rimasero per settimane sulle croci con molte sentinelle di guardia. Tra gli svariati prodigi che si verificarono sull’altura (dalle apparizioni ai globi di fuoco discesi sulle spoglie dei santi, fino agli uccelli rapaci che non osarono avvicinarsi ai loro corpi), numerosi testimoni videro muoversi, 62 giorni dopo la morte, padre Pietro Battista, dalle cui ferite, come già avvenuto al terzo giorno, sgorgò una gran quantità di sangue. I protomartiri giapponesi furono beatificati da Urbano VIII nel 1627 e canonizzati da Pio IX nel 1862.
Questi i loro nomi: Paolo Miki, Giacomo Kisai, Giovanni Soan di Goto (Compagnia di Gesù), Francesco Branco, Francesco di San Michele, Gonsalvo Garcia, Martino dell’Ascensione, Pietro Battista Blásquez, Filippo di Gesù (Ordine dei frati minori), Antonio Daynan, Bonaventura di Miyako, Cosma Takeya, Francesco Kichi, Francesco di Nagasaki, Gabriele de Duisco, Gioacchino Sakakibara, Giovanni Kisaka, Leone Karasumaru, Luigi Ibaraki, Mattia di Miyako, Michele Kozaki, Paolo Ibaraki, Paolo Suzuki, Pietro Sukejiroo, Tommaso Kozaki, Tommaso Xico (terziari francescani).
Patroni di: Giappone

Il ritorno di Sophia. Ma Austria e Ungheria si oppongono ai traghetti del Mediterraneo

Il ritorno di Sophia. Ma Austria e Ungheria si oppongono ai traghetti del Mediterraneo

In teoria per rafforzare l'embargo sulle armi alla Libia, ma in pratica per traghettare clandestini, l'Ue vorrebbe ripristinare l'Operazione Sophia, fornendole anche una componente navale. Ma Austria e Ungheria si mettono di traverso, opponendosi a qualunque piano di redistribuzione dei rifugiati. E se gli altri Paesi dell'Ue si dichiarano pronti a fornire le loro navi, è perché il governo Conte ha dato chiari segnali di voler accogliere di nuovo tutti
Immigrati soccorsi da navi militari europee
La Ue si arena sulla ricostituzione della componente navale dell’Operazione Sophia che dovrebbe monitorare il rispetto dell’embargo sulle forniture di armi alla Libia. Lo scoglio al ripristino della missione navale, che si interruppe nel 2019 quando il governo Lega-M5S impose alle navi dei partner Ue di sbarcare nei rispettivi porti nazionali (e non in Italia) i clandestini soccorsi in mare, è costituito dai governi di Austria e Ungheria.
Orban e Kurz non cedono e hanno ben compreso che il ripristino della componente navale dell’Operazione Sophia non avrà alcuna influenza sul controllo del rispetto dell’embargo sulle armi alla Libia (abbondantemente e frequentemente violato dagli sponsor dei due contendenti libici) ma determinerà un nuovo aumento di sbarchi di immigrati illegali.
Alla riunione straordinaria di ieri mattina del Comitato politica e sicurezza (Cps), Austria e Ungheria hanno mantenuto la porta chiusa alla possibilità che Sophia torni a disporre anche di navi. La discussione comunque andrà avanti nei prossimi giorni ma Vienna e Budapest insistono nel dire no a qualsiasi soluzione sulla ripartizione di eventuali migranti soccorsi in mare: una questione ritenuta da molti “secondaria” rispetto alla discussione, ma su cui i due Paesi sono granitici, forse perchè hanno compreso che la missione Ue ha il reale obiettivo di far riprendere i flussi migratori mentre non ha alcuna speranza di impedire le forniture di armi alla Libia.
Al momento nella Ue c'è intesa solo per rafforzare la vigilanza aerea ma il tema sarà al centro della riunione dei ministri degli Esteri del 17 febbraio. Riportare navi militari Ue nelle acque libiche incoraggerà infatti nuove partenze già oggi in rapida crescita dopo le sciagurate iniziative, concrete e mediatiche, del governo italiano che ha spalancato i porti alle navi delle Ong, annuncia ogni due giorni l’abrogazione dei cosiddetti “decreti Salvini”, ha lui stesso proposto il ripristino della componente navale dell’Operazione Sophia ed ha reso noto un incremento delle diarie corrisposte alle cooperative e associazioni che si occupano di accogliere i migranti. Un invito molto chiaro che incoraggerà trafficanti e immigrati clandestini.   
Del resto il fatto che “numerosi Paesi dell'Ue vorrebbero rafforzare l’Operazione Sophia anche con assetti navali, per aggiungere efficacia al controllo sull'embargo delle armi alla Libia”, come riferiva ieri l’Ansa, dà la misura di come Roma si sia resa disponibile ad accogliere nei propri porti i clandestini soccorsi dalle navi della flotta Ue. Non è un caso che l’anno scorso, appena il governo italiano di allora, su iniziativa di Matteo Salvini, bloccò gli sbarchi dalle navi militari europee tutti i partner si affrettarono a ritirare le proprie unità navali (tedeschi, spagnoli e francesi in testa) lasciando a Sophia solo una componente aerea utile per ricognizioni e sorveglianza ma certo non in grado di soccorrere migrati illegali.
Se oggi tutti i paesi Ue sono pronti a fornire navi a Sophia è perché hanno avuto garanzie che il governo Conte 2 ha offerto garanzie che accoglierà tutti i clandestini raccolti in mare dalle navi europee. Sul piano operativo del resto è facile ipotizzare che se nei 5 anni in cui avrebbe dovuto “interrompere il modello di business dei trafficanti” (come disse Federica Mogherini all’epoca alto rappresentante per la politica estera della Ue) l’Operazione Sophia non è riuscita a fermare migranti e trafficanti ma ha anzi traghettato 44 mila clandestini sulle nostre coste, ben difficilmente potrà oggi fermare gli aiuti militari a Tripoli che i turchi inviano su mercantili scortati da fregate della loro Marina. Inimmaginabile poi che la flotta Ue ponga sotto controllo i porti della Cirenaica in mano alle forze del generale Khalifa Haftar che peraltro riceve la gran parte degli aiuti militari dal cielo e dal confinante Egitto.

Il blasfemo Cantico di Benigni entusiasma solo Avvenire

Il blasfemo Cantico di Benigni entusiasma solo Avvenire
Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana si è esibito – e a più riprese – in un ridicolo balletto giornalistico per elogiare una delle più miserevoli, infondate e blasfeme interpretazioni del libro della Bibbia più commentato dai Padri e nel Medievo, ossia il Cantico dei Cantici.
Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana si è esibito – e a più riprese – in un ridicolo balletto giornalistico per elogiare una delle più miserevoli, infondate e blasfeme interpretazioni del libro della Bibbia più commentato dai Padri e nel Medievo, ossia il Cantico dei Cantici. E Roberto Benigni riderà – e giustamente – sotto i baffi, nel vedere quanta importanza si sia conferita al suo intervento, costruito ad arte su un nulla di contenuto. Praticamente fuffa, aria fritta, venduta come se provenisse da una sapienza divina.
Avvenire, con la firma dell'inviata a Sanremo, impaziente di mostrare al mondo di non essere inferiore a nessuno nell’apprezzamento della cultura contemporanea e nell’apertura della mente ai segni dei tempi, spara un articolo dal titolo : “Festival. Benigni a Sanremo recita il Cantico dei Cantici”, che è tutto una sottolineatura dei presunti “vertici della mistica” toccati dal comico toscano, il quale, per l’occasione, scrive, «rinuncia alla comicità e si presenta come “cantante” del nome della Bibbia». Addirittura. Mancava solo che all’Ariston si aprissero i cieli.
L’inviata di Avvenire, dopo tutta una serie di citazioni, la cui banalità non ha bisogno di commenti, non riesce a contenersi di fronte all’accorato intento pedagogico di Benigni: «Il messaggio di Benigni vuole coinvolgere le nuove generazioni “che parlano di sesso, guardano filmini erotici ma di amore non ne fanno più”». Già. Il problema non è che le nuove generazioni non si sposano, non si assumono la responsabilità della famiglia, on riescono a vivere il “per sempre”, non purificano l’eros mediante la virtù della castità. No, il problema è che non fanno più l’amore; magari con dieci, venti, trenta partner diversi, ma l’importante è che smettano di parlare e guardare e passino ai fatti. E infatti Benigni ha invitato i presenti all’Ariston ad una bella orgia comunitaria, orchestra inclusa, giusto per cominciare ad essere concreti. Ma questo dettaglio la Calvini ha deciso di ometterlo.
Insomma, per Avvenire c’è stato un grandissimo Benigni, che ha sorpassato per intensità e profondità quei barbosi commentatori come Origene e Bernardo, Gregorio di Nissa e Guglielmo di Saint-Thierry, che volevano coprire il messaggio carnale del Cantico, rivestendolo di simboli.
L’aver poi presentato il Cantico come la celebrazione di qualsiasi tipo di “amore”, incluso quello omosessuale, è stato secondo l'inviata solo una piccola licenza poetica, liquidata così: «Salvo prendersi una libertà “politicamente” corretta».
Qualcuno che si sia più o meno santamente surriscaldato dev’esserci stato ed evidentemente non dev’essersi tenuto per sé il dissenso. E così Avvenire ha cercato di correre ai ripari. Il titolo è stato ritoccato con un inciso (vedi qui): «Festival. Benigni a Sanremo recita (e un po’ tradisce…) il Cantico dei Cantici»; mentre alla libertà “politicamente” corretta, viene aggiunto: «Che finisce per tradire non solo la lettera ma il significato profondo del Libro biblico».
Le pezze però hanno finito per peggiorare la situazione; in Redazione non devono essersi accorti dell’incongruenza, perché non si capisce come si possa dire che Benigni abbia tradito solo un po’ il Cantico e poi affermare che ne ha sovvertito sia la lettera che il significato profondo…
Ma non basta l’online. Bisognava far danni anche sul cartaceo (8 febbraio 2020) con due articoli al femminile. Prima la teologa Rosanna Virgili e poi un’altra inviata a Sanremo, hanno effuso lacrime di gratitudine e commozione per il dono inatteso di Benigni: «Che gioia il Cantico dei Cantici a Sanremo! Grazie a Roberto Benigni che ha sorpreso e stupito il Festival», scrive la teologa. Felicità comprensibile nella prospettiva di chi ritiene che il Cantico dei Cantici, per il solo fatto di contenere  voci del coro, assomiglia «ai testi delle canzoni in gara e anch’essi nascono in un ambiente popolare». La platea dell’Ariston e i “protagonisti” del festival sono infatti notoriamente uno spaccato rappresentativo dell’ ambiente popolare italiano... Quanto ai testi, un giorno avremo forse un Agostino del terzo millennio che ci spiegherà che il “Me ne frego” di Achille Lauro altro non è che un testo ispirato sull’impassibilità dei monaci del Monte Athos.
La teologa, dopo aver bruciato incenso al nuovo padre della Chiesa, tale Guido Ceronetti, parla del Cantico come fosse il Kamasutra, prendendosela con la Chiesa che ha «impedito per secoli l’accesso a questo piccolo libro».
E poi c’è l’inviata, quella del cartaceo, a magnificare tutte le stupidaggini di Benigni, che è riuscito nell’impresa di fare in modo che 40 minuti di testo biblico tenessero «incollati al video milioni di persone nel cuore di un Festival della canzone, in tarda notte. Un’operazione praticamente perfetta». Neanche papa Francesco poté mediaticamente tanto…
Onore a Benigni che ha riportato alla luce il testo nudo e crudo del Cantico, non quello edulcorato dalla Chiesa. Un esempio? La sua mano sinistra è sotto la mia testa, con la destra mi stringi nell’amplesso». Ma forse né Benigni né l'inviata sanno che la Chiesa, nell’Ufficio della Madonna in sabato del Breviario precedente alla riforma, tutte le settimana fa cantare un’antifona che suona così: «Laeva eius sub capite meo et dextera illius amplexabitur me». Poi è arrivata la riforma liturgica e l’ha tolta, dopo secoli e secoli in cui questo testo così tabù è stato cantato nei monasteri e pregato dai sacerdoti come il più adatto ad esprimere l’unione della Santissima Vergine con il Signore. Perché il senso del Cantico non è la celebrazione della concupiscenza carnale, ma lo svelamento del senso profondo dell’eros: quell’unione mistica con Dio, di cui il rapporto carnale è figura, peraltro deformata dopo il peccato originale. Esattamente l’opposto di quello che ha fatto Benigni.
E allora c’è poco da applaudire uno che ha sì portato un testo della Bibbia sul palcoscenico di Sanremo, ma non per purificare l’ambiente dalle immondezze che si sono viste in questi giorni, ma per imbrattarlo dello stesso fango.
Il miglior commento a questa totale resa del mondo cattolico, è quanto il grande teologo Louis Bouyer, un po’ scocciato e un po’ preoccupato da quello che vedeva attorno a sé, scrisse nel 1948, per mettere in guardia i cattolici da un atteggiamento pericolosamente remissivo di fronte alla modernità: «È un fatto che i cristiani di oggi non possono sopportare l’idea di avere dei nemici. Vorrebbero essere contro tutto ciò che è contro e a favore di tutto ciò che è a favore. Non c’è più modo, attualmente, di essere non credenti. Se pure vi ingegnaste a sgranare parole blasfeme, sarebbe tempo sprecato. Foste pure Nietzsche, Proudhon o perfino il marchese De Sade, trovereste di certo un ecclesiastico illuminato per scrivere un libro nel quale sareste amabilmente sollecitato, generosamente interpretato, accortamente assimilato».
Ma forse neanche Bouyer era riuscito ad immaginare tanta miseria.

venerdì 7 febbraio 2020

Perchè preferiamo l'Inferno al Paradiso?

Perchè preferiamo l'Inferno al Paradiso? Perchè dovremmo leggere la Commedia di Dante Alighieri a settecento anni dalla sua composizione? E' la domanda che pone Giovanni Fighera, nel suo ultimo lavoro, «Paradiso. In viaggio con Dante verso le stelle», SugarcoEdizioni (2019), pag. 215. e. 18,00. Basterebbe la risposta che dà lo stesso Dante nella lettera inviata a Cangrande de la Scala: Il fine della Commedia è quello di “rimuovere gli uomini finchè sono ancora in vita dalla condizione di infelicità e accompagnarli allo stato della beatitudine”.

Sostanzialmente l'opera dantesca è un viaggio verso la felicità e la salvezza. Composto in tre cantiche di 33 canti ciascuna; l'Inferno di 34 canti, una in più, perchè ha il prologo. Il professore Fighera ha una certezza: «la Commedia ci spalanca una finestra sulla vita e sull'uomo di oggi, come del passato».
Il viaggio di Dante rappresenta il cammino della vita di ogni uomo. In ogni verso «la Commedia ha la capacità di illuminare la vita quotidiana e la realtà in cui viviamo».

Dante celebra la bellezza del creato, della natura, di Dio. “Come si fa ad essere cattivi dopo aver sentito una musica così bella?”, ha esclamato una spia della Stasi, che stava controllando la vita di un musicista. La stessa cosa si potrebbe dire dopo aver letto le tre cantiche della Commedia.

Alcuni studiosi nel 1992 hanno cercato di diffamare il capolavoro dantesco, sostenendo che nella Divina Commedia erano presenti contenuti offensivi e discriminatori nei confronti degli ebrei e delle razze. Pertanto Fighera si domanda: «chi ha espresso queste opinioni ha davvero letto la Commedia, ha visto che Dante, in base ai suoi principi, ha collocato anche papi e imperatori nell'Inferno? Ha visto che i sodomiti non sono posti solo nell'Inferno, ma anche nel Purgatorio, proprio come i peccatori lussuriosi eterosessuali che possono essere collocati all'Inferno o in Purgatorio?».
Tuttavia nella Commedia se c'è un “discrimine” è nei confronti di tutti i violenti, assassini, golosi, cioè di tutti i peccatori. Comunque sia Dante che è stato esiliato in vita, ora rischia «di essere esiliato ancora oggi, di essere
bandito dai programmi, dalle scuole, dalle università».

Se certi uomini di cultura cercano di “esiliare” Dante, perchè non augurargli la canonizzazione, «il maggior poeta dell'aldilà, che senz'altro ha destato le coscienze di molti e ha accompagnato tanti altri lungo il cammino della purificazione e della santificazione?»

Il cantore più eloquente del pensiero cristiano. E subito si appresta ad esporre come è stato considerato dai suoi contemporanei, dagli uomini del Novecento, ma soprattutto dalla Chiesa. La sua opera politica, il De monarchia, è stata considerata anacronistica, «mentre la Commedia non è stata mai posta all'indice, malgrado compaiono nell'Inferno dantesco numerosi papi, cardinali, vescovi».

E' proprio a partire dal Novecento, che la Chiesa da sempre ha riconosciuto alla Commedia, un valore dottrinale altissimo. In una lettera di Benedetto XV, datata 28 ottobre 1914, si può leggere che Dante «con versi né prima né dopo uguagliati, espose le più alte verità di fede» e «non avvenne mai che si discostasse dalle verità della dottrina cristiana». In occasione del sesto centenario della morte, il 30 aprile 1921, sempre Benedetto XV, ha dedicato a Dante una lettera enciclica In praeclara summorum a Dante, riconosciuto come poeta ancora contemporaneo, seppure distante nel tempo, valida guida per l'uomo odierno: «egli, quantunque separato da noi da un intervallo di secoli conserva ancora la freschezza di un poeta dell'età nostra; e certamente è assai più moderno di certi vati recenti, esumatori di quell'antichità che fu spazzata via da Cristo, trionfante sulla Croce».

Fighera ci tiene a precisare che la dedica di un'enciclica ad un poeta, è l'unico caso nella storia. Papa Benedetto XV esalta l'Alighieri: «nella illustre schiera dei grandi personaggi, che con la loro fama e la loro gloria hanno onorato il cattolicesimo in tanti settori ma specialmente nelle lettere e nelle belle arti, lasciando immortali frutti del loro ingegno e rendendosi altamente benemeriti della civiltà e della Chiesa, occupa un posto assolutamente particolare Dante Alighieri».

Pertanto sempre secondo il pontefice, la Commedia di Dante, «ha un alto e riconosciuto valore pastorale, dal momento che molti lettori, catturati dalla bellezza dei versi e delle storie, sono stati poi attratti alla verità della fede cattolica e si sono convertiti». Inoltre Dante viene riconosciuto come «Il cantore […] più eloquente del pensiero cristiano». Dunque il papa ci esorta a dedicarci a lui con amore, «tanto più la luce della verità illuminerà le vostre anime e più saldamente resterete fedeli e devoti alla santa fede».

E se qualcuno obiettasse che Dante nella sua opera si scaglia contro rappresentanti della Chiesa cattolica, Benedetto XV prontamente risponde che Dante nonostante si scagliasse a ragione o a torto contro persone ecclesiastiche, «non venne mai meno in lui il rispetto dovuto alla Chiesa e la riverenza alle Somme Chiavi».
Mentre san Paolo VI, il 7 dicembre 1965, in occasione del VII centenario della nascita di Dante, fece pubblicare una Lettera Apostolica Altissimi cantus, per sottolineare il vivo interesse della Chiesa per la figura di Dante, istituendo una Cattedra di Studi Danteschi presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Paolo VI definisce Dante come «l'astro più fulgido», della nostra letteratura e “padre della lingua italiana”. Infine invita ed esorta tutti noi a onorare “l'altissimo poeta”: cantore ecumenico ed educatore del genere umano[...]».

Infine, esorta i contemporanei, «in un momento di crisi culturale come quella in cui vivono, a illuminare la propria cultura 'incontrandosi con un così alto spirito'. Dobbiamo volgere lo sguardo a Dante, perché, 'ostacolati da una selva oscura', possiamo orientarci verso 'dilettoso monte/ch'è principio e cagion di tutta gioia' (Inferno I, vv 77-78).

Ma anche gli ultimi tre papi hanno mostrato vivo interesse per la Commedia. In particolare Benedetto XVI si richiama spesso alla Commedia per presentare i santi e la Madonna. Mentre papa Francesco in occasione del 750° anniversario dalla nascita del sommo poeta è convinto che la Divina Commedia «può essere letta come un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico». Per il Papa, il capolavoro del poeta fiorentino «rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui l'umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce ‘l'aiuola che ci fa tanto feroci' per giungere a una nuova condizione, segnata dall'armonia, dalla pace, dalla felicità. È questo l'orizzonte di ogni autentico umanesimo».

Inoltre papa Francesco afferma: «Onorando Dante Alighieri, come già ci invitava a fare Paolo VI - si legge nella parte finale del messaggio - noi potremo arricchirci della sua esperienza per attraversare le tante selve oscure ancora disseminate nella nostra terra e compiere felicemente il nostro pellegrinaggio nella storia, per giungere alla méta sognata e desiderata da ogni uomo: ‘L'amor che move il sole e l'altre stelle'».

Queste citazioni ci fanno capire che la Chiesa, i sommi pontefici hanno sempre apprezzato la Commedia come opera pienamente cristiana. Anzi «attraverso le tre cantiche, ha sottolineato papa Benedetto XVI, è suggerito per noi tutti un cammino umano e di fede per la nostra salvezza e per la redenzione del mondo».

Al 6° capitolo del libro,(la più importante della I Parte: “Perché leggere il Paradiso?”) Fighera risponde ad una interrogazione fondamentale per comprendere il suo libro: «Perché la cantica dell'Inferno avvince e appassiona, mentre l'interesse per il viaggio di Dante scema nel secondo Regno e poi nei Cieli del Paradiso dantesco?»

La risposta del professore è abbastanza articolata. E' importante prestare attenzione alle considerazioni filosofiche culturali di Fighera per comprendere perché gli uomini contemporanei sono interessati solo all'Inferno. A mio avviso leggendo questo capitolo si comprende anche perché è importante leggere, studiare tutto il libro di Fighera. Un ottimo testo che certamente non solo vuole introdurre alla lettura della Divina Commedia, ma intende anche aiutare il credente a rafforzare la propria fede e a salvare la propria anima.

L'epoca contemporanea vive la propria libertà svincolata dalla verità, non sa distinguere il bene o il male, e relativizza tutto. «Il relativismo non è se non la forma più diffusa del nichilismo, perché considera tutte le idee di uguale valore, per il fatto che nessuna esprime verità, ma ciascuna di esse corrisponde a qualcosa che non vale nulla, ossia a qualcosa che vale «zero». A questo si giunge, se si nega la verità e la sua funzione determinante nella vita e nelle ricerche dell'uomo.

Pertanto per Fighera l'uomo contemporaneo con un atteggiamento prometeico si è contrapposto al Cielo, di cui ha pensato ormai di poter fare a meno. Dopo aver abbandonato la fede nell'al di là, l'uomo ha perso anche la fiducia nel progresso nell'al di qua e si trova, quindi, in una situazione drammatica, in quanto non sa più in che cosa credere».

Inoltre, «Le vite degli uomini si sono spesso ridotte a «consorzi di egoismi», l'uomo come individuo in senso estremo diventa un «solitario», che sa vivere solo per sé e non per gli altri. Per queste ragioni l'uomo contemporaneo si identifica maggiormente nell'Inferno dantesco con le sue intense passioni, i suoi personaggi immortali e dannati, le sue grandi tragedie».

Pertanto secondo il professore Fighera, «La nostra epoca, amante dell'idolatria e scevra di maestri, ama gli idoli dell'Inferno, si sente distante dallo spirito di appartenenza e di comunità del Purgatorio e del Paradiso danteschi. Indubbiamente, la distanza tra la concezione della vita sottesa al poema dantesco e quella della cultura contemporanea è il primo grande ostacolo alla comprensione e al godimento del Paradiso dantesco. L'Inferno è, infatti, il luogo dell'individualismo, mentre il Purgatorio è il regno in cui l'uomo si scopre «persona» (l'etimo della parola dice che l'io risuona nel rapporto con l'altro) e l'anima vive la dimensione della liberazione dal peccato nell'appartenenza ad un popolo che cammina insieme.

Il Paradiso sarà, infine, il luogo della comunione universale, della letizia dei santi, della carità (amore incondizionato che previene e anticipa la domanda portando soccorso e aiuto), del «sorriso di Dio» (Charles Moeller), della carità.

Il lettore contemporaneo si sente più vicino all'Inferno dantesco anche per la difficoltà della lingua di cui si avvale il Sommo poeta. L'altezza e la bellezza del linguaggio, grande pregio della terza cantica, è oggi anche uno degli ostacoli maggiori e quasi insormontabili per un pubblico di lettori che ama sempre meno far fatica». Infatti, «Il viaggio nel Paradiso richiede un impegno e una fatica che solo la coscienza del pregio e del valore dell'opera permette di affrontare.

Perché il Paradiso è davvero bello e merita di essere apprezzato? Perché il bene è più attraente del male, i santi sono più affascinanti dei cattivi. Questa consapevolezza attraversava il Medioevo cristiano tanto è vero che in quell'epoca uno dei generi più diffusi e amati era quello agiografico che raccontava le vicende di piccoli o di grandi uomini presi e cambiati dall'amore di Gesù.

I grandi personaggi non si trovano solo all'Inferno, ma anche in Paradiso, ove potremo incontrare grandissime figure, che hanno segnato la storia dell'Occidente e della cristianità: san Francesco, san Domenico, san Benedetto, san Bernardo, san Tommaso, san Bonaventura da Bagnoregio, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, tutti personaggi non lasciati nella vaghezza della dimensione eterea e indistinta, ma caratterizzati nella loro specificità e storicità terrena.

Nel Paradiso non mancherà certo l'avventura. Anche in quel terzo regno Dante incontrerà difficoltà, conoscerà storie belle e drammatiche, dovrà addirittura superare tre prove che costituiscono un vero e proprio esame di baccalaureato. Solo a quel punto il poeta potrà procedere nel viaggio fino a giungere alla visione dei cori angelici, dell'Empireo, della Candida Rosa e, infine, di Dio, ma non senza alcune difficoltà e l'intervento di mediatori celesti».

Nei successivi capitoli, Fighera si indirizza a trovare le fonti storiche della terza cantica (Il Paradiso). Inizia con il paradiso degli antichi latini. Il riferimento è il Somnium Scipionis di Cicerone, e l'Eneide di Virgilio. Mentre al “Paradiso” cristiano della letteratura medievale prima di Dante, il riferimento va a Bonvesin de la Riva e Giacomino da Verona. Subito dopo Fighera cita qualche studioso, esperto della Commedia come l'americano Robert Hollander e David Scott Wilson-Okamura.

Infine il testo mette in risalto la dedica del Paradiso a Cangrande della Scala e avverte che la Commedia deve essere letta su quattro livelli: letterale, allegorico, morale e anagogico (o religioso che riguarda la vita ultraterrena e la salvezza dell'anima). «Solo una lettura attenta che miri a cogliere questi quattro sensi permette di intraprendere con Dante il viaggio esistenziale di redenzione per la propria felicità terrena e la salvezza eterna: i due fini della vita umana».
Fighera ammette che spesso il lettore della Commedia si limita a capire la sola lettura allegorica senza intendere quello che dante scrive per la nostra felicità (significato morale) e per la nostra salvezza (livello anagogico).

Nella II Parte, il libro di Fighera affronta “La via della Bellezza”. Il tema della Bellezza, per il professore è un tema ricorrente dei suoi studi. Ricordo il suo bellissimo testo di qualche anno fa, pubblicato per le edizioni Ares, “La bellezza salverà il mondo”.

Al capitolo 14, Beatrice diventa un maestro, perché spalanca il cuore di Dante, lo indirizza al desiderio dell'assoluto. E qui Fighera da buon professore di scuole superiori, può scrivere: «Il vero maestro conduce al bene, non ferma il discepolo su se steso in maniera idolatrica». Infatti, «questa è la differenza tra il maestro e l'idolo. Quanti idoli vengono creati nell'epoca contemporanea a uso e consumo dei più giovani! Essi non indirizzano mai alla verità e alla bellezza, non si pongono come compagni nel cammino dell'esistenza, perché svelerebbero tutta la loro inconsistenza[...]». Pertanto ammonisce il professore: Stiamo attenti ai falsi maestri che incontriamo per strada.

Il capitolo 15 è un elogio delle cose belle che conducono a Dio, e qui Fighera fa riferimento alla celebre frase di Dostoevskij sulla bellezza. E' la bellezza che salva il mondo, lo ha spiegato bene san Giovanni Paolo II nella lettera agli artisti del 1999.

«La vera bellezza porta al cambiamento, perché si vuole essere migliori, come quando ci s'innamora». Il Bello porta sempre alla Verità, alla Bontà dell'Essere.

Nella III Parte si affronta “Il Sorriso dei Santi”. La bellezza dei santi è rigenerante, il loro sorriso accompagna il viaggio di Dante. E' un elenco numeroso, proposto nei vari canti, si va da Picarda Donati, a Costanza d'Altavilla, e poi c'è l'imperatore Giustiniano, con il tema politico in primo piano. E poi l'attenzione ai vari personaggi dell'epoca romana: Cesare, Ottaviano, Tiberio. Dal capitolo 20 al 26, vengono posti all'attenzione del lettore alcuni pilastri, giganti dell'Occidente cristiano: da San Tommaso d'Aquino e la sua sapienza, a San Francesco, l'ardore della carità, San Domenico di Guzman e l'importanza della predicazione, il “dire”. Infine San Benedetto da Norcia, la dimensione comunitaria e lo spirito contemplativo.

Nella IV Parte, troviamo, “Gli esami di Dante”, anche qui la presenza di santi illustri come San Pietro. L'ultima Parte, la V, c'è “La visione di Dio”, Dante termina il suo lungo viaggio, tra i nove cerchi angelici, saluta Beatrice, i santi finalmente appaiono con il loro volto e San Bernardo, la nuova guida di Dante, lo porta alla visione del Sommo Eccelso Dio.

Fede e famiglia motori dell’uguaglianza sociale

Volete ridurre i gap sociali e, nello specifico, le differenze di opportunità tra le minoranze etniche e il resto della società? In altre parole, vi sta a cuore l’uguaglianza sociale? Bene, allora puntate sulla famiglia e sulla fede. No, non è lo slogan di qualche bollettino ultraconservatore ma quanto emerge dalla più aggiornata ricerca sull’argomento. Parola di William H. Jeynes, studioso della California State University a Long Beach con, all’attivo, la bellezza di oltre 165 pubblicazioni accademiche e svariati libri.
Jeynes è giunto a queste conclusioni, pubblicandole sulla rivista Education and Urban Society, in seguito ad una meta-analisi – ossia una ricerca riassuntiva di risultanze precedenti – con la quale ha considerato 30 studi precedenti centrati sullo stesso tema: i fattori che meglio riducono i gap sociali e, quindi, che più accrescono le opportunità. Più esattamente, lo studioso americano ha messo in luce come i giovani di colore o latino americani si trovano sostanzialmente al pari delle condizioni degli altri giovani quando crescono in una famiglia unita e frequentano la chiesa.
Questo perché quando entrambi i genitori vivono assieme – e assieme ai loro figli, ovviamente – essi investono molte più attenzioni ed energie sul piano educativo di quanto non facciano o non possano fare genitori separati o single. Questo – precisa Jeynes – non significa che anche un genitore single non possa impegnarsi al massimo risultando ottimo genitore; esattamente come non è detto che padre e madre sposati siano ipso facto educatori esemplari.
Però nella generalità dei casi – ed è ciò che in statistica conta – la famiglia solida e unita fa la differenza per giovani che, diversamente, sarebbero svantaggiati. Non solo. Il peso delle differenze familiari ha effetti più consistenti di tutte le altre differenze, razziali incluse. Ne consegue – sempre secondo Jeynes – che, se non si investe di più nella stabilità familiare, certe disparità dureranno ancora decenni; una sottolineatura non banale se si pensa che proprio nelle minoranze etniche di colore e latino americane l’instabilità coniugale e le nascite extra coniugali dilagano. Viceversa, guarda caso, la famiglia unita va forte nei quartieri più ricchi della California.
Ma torniamo alla ricerca dello studioso americano e alla sua seconda – ancor più rilevante – scoperta: quella sul ruolo decisivo della religione. Sì, perché William H. Jeynes ha scoperto che un secondo fattore che aiuta molto gli studenti – sopratutto quelli desiderosi di un certo riscatto sociale – è la forte religiosità. «Andare regolarmente in chiesa ed essere molto religiosi», ha osservato lo studioso, «porta alla più netta differenza nei traguardi tra i giovani studenti»; cosa che aiuta parecchio chi parte svantaggiato.
Come mai questo? Probabilmente «perché la fede aiuta a trovare uno senso nella vita e ad imporsi uno stile di vita disciplinato, che propizi il successo personale». Ora, è vero che queste conclusioni includono diverse confessioni cristiane e non solo quelle cattolica. Tuttavia, sarebbe miope non considerare l’importanza di questi risultati, che gettano una luce completamente diversa sul rilievo sociale della fede.
Da decenni, infatti, siamo bombardati da una cultura che ci vuol convincere che la religione sia – e debba restare – un fatto privato, quasi intimo, da condividere in cerchie isolate e ristrette. Si tratta di posizioni, addolora dirlo, che hanno attecchito anche in casa cattolica. Ciò nonostante, per un curioso paradosso, oggi sono proprio le discipline laiche – come la sociologia e lo studio delle dinamiche educative – a riabilitare la devozione, confermando quello che gli anziani e chi ci ha preceduto ha sempre avuto ben chiaro, e cioè che sì: credere fa la differenza. Fede e famiglia motori dell’uguaglianza sociale

Strage di Siroki Brijeg

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