A 13 mesi dalla visita di papa Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma, per il rabbino capo di Roma, Riccardo Segni «non c’è stata ancora alcuna ”risposta decisiva” alla richiesta delle Comunità ebraiche italiane di riportare alla luce le storie dei bambini scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati ignari delle loro origini». Si ammette quindi che furono numerosissimi gli ebrei nascosti e salvati nei conventi cattolici (cosa impossibile senza l’autorizzazione del Pontefice), ma si accusa di averli battezzati e lasciati ignari delle loro origini ebraiche.
LO STORICO NAPOLITANO: «TUTTI RESTITUITI»- «La Santa Sede ha sempre restituito alle loro famiglie di origine i bambini ebrei scampati all’Olocausto in istituzioni cattoliche e ha sempre ordinato di non battezzarl», lo ribadisce, in una nota inviata all’ASCAhttp://www.asca.it/news-SHOAH__S_SEDE__BIMBI_EBREI_SEMPRE_RESTITUITI_A_FAMIGLIE__MAI_BATTEZZATI-995602-ORA-.html, il prof. Matteo Luigi Napolitano, Delegato internazionale del Pontificio Comitato di Scienze Storiche per i problemi della Storia contemporanea. «Hanno suscitato grande sorpresa le dichiarazioni dal Rabbino Di Segni sui bambini ebrei scampati alla Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti dalla Santa Sede alle loro comunita’ e famiglie di origine». Ha continuato Napolitano: «In qualità di Delegato internazionale del Pontificio Comitato di Scienze Storiche per i problemi della Storia contemporanea, tengo a precisare che la Santa Sede ha dato una risposta ampia e documentata alla delicata questione già diversi anni prima: esattamente con un lungo articolo a mia firma, basato su fonti inedite vaticane, e apparso il 18 gennaio 2005 sul quotidiano ”Avvenire”, come pure con il volume ”Pacelli, Roncalli e i battesimi della Shoah” (Piemme 2005), che ho scritto assieme al Dott. Andrea Tornielli. Le nostre ricerche – conclude Napolitano – hanno portato a due importanti conclusioni: le direttive ecclesiastiche furono sempre di non battezzare i bambini ebrei affidati dalle loro famiglie alla Sede Apostolica, affinché sfuggissero alla Shoah; in secondo luogo, la prassi seguita dalla Santa Sede nel dopoguerra (e accadde anche in un caso italiano) fu sempre quella di restituire i bambini alle loro famiglie di origine, ossia a genitori o a parenti, qualora queste fossero tornate a chiederne la riconsegna».
LA STORICA LOPARCO: «POCHISSIMI BATTEZZATI»- Nel 2004, la storica Grazia Loparco, docente alla Pontificia facoltà di scienze dell’educazione Auxilium, pubblicò un ampio studio (“Gli ebrei negli istituti religiosi a Roma”. Dall’arrivo alla partenza (1943-1944), sugli ebrei salvati, per ordine di Pio XII, nei conventi romani: 4.329 in un centinaio di istituti religiosi femminili, in una quarantina di istituti maschili e in una decina di parrocchie. Pubblicati i risultati su Avvenirehttp://www.mascellaro.it/node/459, si conferma che rispetto agli ebrei accolti nei conventi «il numero di battesimi fu minimo» mentre non vi è «alcun caso di non restituzione di bimbi alle famiglie». I bambini degli orfanotrofi ebraici tornarono invece «tutti alle loro comunità», dice la studiosa. E aggiunge che quando alcuni bambini chiedevano il battesimo «venivano dissuasi perché non erano nelle condizioni di libertà per farlo». Fondato su documenti d’archivio e su testimonianze dirette, lo studio è dolorosamente avvincente, non tace infelici tentativi di conversione né omette il caso di sei battesimi a Roma: di cinque «piccole ebree, accolte, salvate e successivamente battezzate» a Santa Maria delle Grazie in via della Balduina, e quindi quello struggente di una neonata, salvata da una razzia dei nazisti dalle Francescane Missionarie di Maria di via Giusti. Lo ricorda vividamente suor Myriam Capone: «Passò proprio lì davanti un camion carico di ebrei, uomini, donne e bambini, sorvegliati dalle SS. Una donna emise un piccolo grido per attirare l’attenzione. La suora guardò e vide che le porgeva, e quasi le lanciava, la bimba che teneva stretta fra le sue braccia. Il camion sparì. Suor Gesù Eucaristia rientrò commossa, con la creaturina tra le braccia. Doveva avere circa due mesi». Trasferita più al sicuro con altre orfanelle, «nessuno venne a cercarla. Compiuti sette anni, venne battezzata col nome di Mirella, nome di battesimo della superiora. Poi è stata adottata, ma veniva molto spesso a trovarci. Anche dopo essersi sposata, ha chiesto dove mi trovavo, ed è venuta a salutarmi con il marito e la figlia adottiva (indiana), fino a Rovereto, dove mi trovavo allora».
Molti altri invece si convertiranno liberamente una volta divenuti grandi. Così come il predecessore di Di Segni, il capo rabbino di Roma di quel tempo, Eugenio Zolli, che appena finita la guerra decise di farsi battezzare con il nome di “Eugenio Pio Israel Zolli“, in forma di gratitudine verso l’operato della Chiesa e del suo Pontefice nei confronti degli ebrei di Roma: «Ciò che il Vaticano ha fatto resterà indelebilmente ed eternamente scolpito nei nostri cuori. Sacerdoti, come pure alti prelati, hanno fatto cose che resteranno per sempre un titolo di onore per il cattolicesimo» (P. Dezza, “Eugenio Zolli: Da Gran Rabbino a testimone di Cristo (1881-1956)” La Civiltà Cattolica, 21/2/1981, pag. 340)
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