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sabato 13 febbraio 2010

Non è Francesca, ma un pasticcio di Giancarlo Perna

iepilogando, vediamo in che consiste l’attività di «puttaniere» - scusate il termine - di Guido Bertolaso secondo procura e gip di Firenze.
Il sottosegretario è iscritto al Salaria Sport Village, periferia nord di Roma. In un anno, si è chiuso dodici volte per un’ora con tale Francesca nella stanza massaggi del circolo. La magistratura, in base a intercettazioni, pensa che Francesca gli abbia concesso le sue grazie essendo al soldo di un imprenditore, Diego Anemone, che voleva compensare Bertolaso per ingiusti appalti. Per riassumere: il sottosegretario sarebbe un verro corrotto; la fantomatica Francesca una geisha mercenaria.
Se però si approfondisce c’è da mettersi le mani nei capelli. Il sessuomane Bertolaso si incontra con Francesca una volta al mese. Una regolarità da metronomo che fa a pugni con la tempestosità degli impulsi sessuali. In secondo luogo, il sottosegretario passa ogni volta alla cassa e paga di tasca sua la prestazione. Ad affermarlo è la stessa ordinanza del gip senza che però il magistrato ne tragga le conseguenze. Una su tutte: se il sottosegretario sborsa il danaro, l’incontro con Francesca non è un «dono» di Anemone. Ergo, non c’è corruzione sessuale.
Ecco allora, come ha detto lo stesso Bertolaso dopo la batosta giudiziaria, che si può leggere la cosa in tutt’altro modo. Francesca è una valente fisioterapista e il sottosegretario, tra uno stress e l’altro, ricorre a lei per farsi togliere gli acciacchi. Poi, come qualsiasi paziente, paga la cura a fine seduta. Punto. Per quale paturnia i magistrati trasformano questa normalissima quotidianità nel grave reato di corruzione con contorno di sesso? Mistero. Nessuna informazione agli atti autorizza le pruriginose illazioni dei giudici. Allo stato, tutto appare come pura maldicenza, «infamante e drammatica» per dirla con Bertolaso.
Cerchiamo lumi nelle intercettazioni. Il 18 febbraio 2009, il nostro Guido, che ha già fissato un incontro con Francesca, telefona ad Anemone (proprietario del circolo) e dice: «Ho appuntamento all’una e mezza ma prima delle tre non ce la faccio». Ossia lo prega di avvertire la signora. Difficile si parli così di un lupanare. Poi aggiunge: «Fammi trovare la documentazione per pagare l’abbonamento al circolo di quest’anno. Sono in ritardo». È il classico discorso, forse anche imbarazzato, di un socio moroso. Chi di noi avrebbe usato nella circostanza parole diverse e più incolpevoli di queste?
Protagonista di un’altra intercettazione è Anemone. Telefona al direttore del circolo e gli chiede di essere avvisato dieci minuti prima che Bertolaso finisca il massaggio perché vuole parlargli. Il direttore, a sua volta, chiama il beauty center e dice a una segretaria: «C’è un signore che adesso fa un messaggio. Mi chiamate dieci minuti prima che finisca?». L’altra risponde: «Consideri che ha iniziato adesso, quindi tra una cinquantina di minuti». Trascorso il tempo, la segretaria ritelefona al direttore: «È uscito ora con l’accappatoio dalla cabina». Insomma, come piffero fai a pensare che dietro ci sia una tresca? Guido entra un po’ in ritardo, sta un’ora esatta - non dieci minuti o tre ore secondo l’estro dell’assatanato - ed esce con l’accappatoio come un normalissimo utente di piscine, beauty center, ecc., per farsi una doccia e togliersi l’olio della fisioterapia di dosso. Ma in che mondo vivono al Tribunale di Firenze?
Se guardiamo con occhi non depravati, si spiega benissimo anche la terza e più «compromettente» intercettazione. Bertolaso telefona dall’aeroporto al rientro da una missione e dice: «Se oggi pomeriggio Francesca potesse... verrei volentieri... una ripassata». Ecco la parola chiave che ha fatto drizzare le orecchie giudiziarie: «ripassata». Tra i pornografi può anche spalancare uno scenario orgiastico ma, tra sani, tanti più se romani, evoca perfettamente l’idea del messaggio distensivo, l’abile stiratura dei tendini contratti e consimili amenità da Asl.
Personalmente mi chiedo perché dei magistrati seri e motivati finiscano per arrampicarsi sugli specchi in modo così artificioso e scomposto. Quelli di Firenze non hanno convinto nessuno. Anche il Fatto, che è il Fatto, ossia il quotidiano dipietrista che esalta le procure a prescindere, stavolta non si pronuncia. Anzi, si mostra scettico. Sottolinea che Bertolaso pagava di tasca sua il massaggio e che perciò - sottinteso - è dura vederci lo zampino corruttivo dell’imprenditore. Di Francesca dice, a conferma delle affermazioni di Bertolaso, che è una signora di 45 anni. Non, dunque, una lolita da ripassarsi per favorire appalti. Aggiunge poi un particolare taciuto dagli altri giornali: Guido ha cessato di farsi massaggiare dal 6 aprile 2009, giorno del terremoto dell’Aquila. Come dire che, da quel momento, non ha avuto un attimo di tempo per badare a se stesso. Si può osservare, conoscendo la natura umana, che se si fosse trattato di sesso e non di cervicale l’attimo lo avrebbe comunque trovato.
Allora che dire della tempesta in un probabile bicchiere d’acqua che si è abbattuta su wonderful Bertolaso, san Guido per le folle? Diciamo che le inchieste hanno bisogno di attenzione. Arrestare un imprenditore, un paio di funzionari e uno stimato presidente del Consiglio superiore del Lavori pubblici come Angelo Balducci, avrebbe avuto un’eco relativa. In fondo chisseneimporta, l’istruttoria farà il suo corso, poi si vedrà. Se invece metto nel ventilatore una spruzzata di sesso e un tipo stranoto l’effetto è garantito. La politica è costretta a interrogarsi su se stessa, la morale pubblica è richiamata all’ordine. Una variante della solita funzione etica che la magistratura crede, a torto, di dovere assolvere.
Se fosse invece rimasta sul suo terreno, quello del diritto e della responsabilità dei singoli, come avrebbe dovuto comportarsi anziché sparacchiare pubblicamente intercettazioni ambigue? Vi dico, da profano, cosa averi fatto io. Anziché colpire a freddo il sottosegretario - o un altro qualsiasi su cui si allunga un’ombra -, lo avrei chiamato nel mio ufficio per chiarire le cose prima di ogni iniziativa. Delle due l’una: o mi dava una spiegazione e la cosa finiva lì; o non ci riusciva e l’avrei incriminato con fondamento. Così invece, lui resta sulla graticola prima che possa dire la sua e sulla giustizia si addensa il sospetto di partigianeria. Tutto per mostrare i muscoli anziché buon senso. Col rischio che Bertolaso oggi soffra ingiustamente. Ma che domani, e per l’ennesima volta, i giudici perdano la faccia. http://www.ilgiornale.it/interni/non_e_francesca_ma_pasticcio/13-02-2010/articolo-id=421438-page=1-comments=1

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