Premessa Questa recensione critica, apparsa su Avvenire - un quotidiano, come si può immaginare, non casuale - del 1° dicembre, di un testo di Roberto de Mattei sul Concilio Ecumenico Vaticano II s’inserisce in un più ampio dibattito recente, cui sarà dedicato in buona parte il prossimo numero della rivista di Alleanza Cattolica, Cristianità. Rimandando a tale numero (attendete con pazienza) per una più ampia trattazione – e premesso che non esiste una «opinione di Alleanza Cattolica» sul Concilio (al massimo, Alleanza Cattolica spera di avere capito bene e d’illustrare fedelmente l’opinione del Magistero) – riassumo i termini della questione. (1) Non c’è dubbio che gli anni del postconcilio siano stati anni di crisi per la Chiesa Cattolica. Nella storica intervista Rapporto sulla fede del 1985 il cardinale Joseph Ratzinger, dichiarava: «È incontestabile che gli ultimi vent’anni sono stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa Cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti […] Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza. […] Vie sbagliate […] hanno portato a conseguenze indiscutibilmente negative». (2) Non c’è dissenso sul fatto che del Concilio Ecumenico Vaticano II sia a lungo prevalsa un’interpretazione nei termini di quella che Benedetto XVI chiama una sciagurata «ermeneutica della discontinuità e della rottura» che interpreta i testi conciliari non alla luce della Tradizione precedente, ma contro quella stessa Tradizione. Non si è trattato di posizioni estemporanee di qualche teologo, ma di una vera e soffocante egemonia. (3) Non solo dopo ma già durante il Concilio, dai principali media i documenti sono stati presentati quasi sempre secondo l’ermeneutica della rottura. come immancabili sconfitte dei «conservatori» e vittorie dei «progressisti», qualunque fosse effettivamente il loro contenuto. (4) Una volta però che si sono rigorosamente distinti i documenti dalla loro interpretazione e dalla presentazione mediatica, il Magistero insegna che i documenti devono essere anzitutto letti (molti che ne parlano, in effetti, non li hanno mai letti), quindi fedelmente seguiti nei loro insegnamenti essenziali. È vero che il Concilio si è voluto pastorale e non dogmatico, ma – come insegnava il servo di Dio Paolo VI già da subito, nel 1966 – «dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli». Nella lettera del 10 marzo 2009, relativa ai vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X consacrati da mons. Lefebvre, Benedetto XVI ribadisce che anche dopo la remissione della scomunica del 2009 essi non possono esercitare «in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa» fino a quando non sia chiara la loro «accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi». La posizione non di Alleanza Cattolica ma del Magistero della Chiesa è dunque che, mentre l’interpretazione dei testi del Concilio secondo l’ermeneutica della rottura che tanto male ha fatto alla Chiesa va rifiutata, gli stessi testi letti alla luce della Tradizione – il che talora a causa di formulazioni, che risentono del linguaggio degli anni 1960, non sempre felici richiede uno sforzo non facile, ma che il Papa ci assicura non essere impossibile – devono essere «accolti docilmente e sinceramente da tutti i fedeli».
«De Mattei e il Concilio, un metodo critico che svaluta i testi»
Massimo Introvigne (Avvenire, 1° dicembre 2010)
Il 22 dicembre 2005, in un discorso ormai famoso alla Curia Romana, Benedetto XVI ha distinto a proposito del Vaticano II un’errata «ermeneutica della discontinuità e della rottura» rispetto al Magistero precedente, e una giusta «ermeneutica del rinnovamento nella continuità». Il 24 luglio 2007, ad Auronzo di Cadore, il Papa ha aggiunto che l’ermeneutica della rottura è praticata sia dal «progressismo sbagliato» sia dall’«anticonciliarismo». Entrambi affermano che il Vaticano II ha rotto con la Tradizione, i progressisti per applaudire questa presunta rottura e gli anticonciliaristi per deplorarla. Ma in verità, per Benedetto XVI, non c’è nessuna rottura.
Per decenni, l’ermeneutica della rottura è stata proposta principalmente dal fronte del «progressismo sbagliato». Di recente sono apparse diverse opere che ripropongono l’ermeneutica della rottura in chiave anticonciliarista e talora cercano di rivalutare la figura, emblematica per questa lettura del Concilio, di mons. Marcel Lefebvre.
Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta dello storico Roberto de Mattei (Lindau, Torino 2010) si presenta, già dal titolo e dalla mole (632 pagine), come un libro molto ambizioso e una vera summa delle tesi anticonciliariste. A differenza di altri autori, che condividono con lui l’accusa al Concilio di avere rotto con la Tradizione, de Mattei manifesta un maggiore distacco nei confronti di mons. Lefebvre, rilevando che del cosiddetto «tradizionalismo» che rifiutava il Concilio il vescovo francese non fu mai «il capo», ma solo «l’espressione più visibile e alimentata dai mass-media».
De Mattei condivide però con i «lefebvriani» la tesi secondo cui l’ermeneutica della continuità auspicata da Benedetto XVI è ultimamente impraticabile. Infatti, per interpretarli alla luce della Tradizione, i documenti conciliari dovrebbero essere separati dall’evento-Concilio, che consta della sua preparazione, delle discussioni in aula – ricostruite da de Mattei in modo minuzioso, usando però molto meno le relazioni delle commissioni –, delle presentazioni contemporanee dei media e delle applicazioni successive.
Questa «artificiale dicotomia fra i testi e l’evento», secondo de Mattei, dal punto di vista dello storico e del sociologo non ha senso. Lo storico romano cita fra i sociologi che hanno applicato al Concilio le teorie dell’evento globale Melissa Wilde e il sottoscritto. Da queste teorie pensa di poter concludere che i documenti fanno parte dell’evento, fuori del quale perdono il loro significato.
Ma la teoria sociologica dell’evento non afferma che sia impossibile la distinzione fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere affermato di qualunque documento che si presenta come autorevole, saremmo di fronte a una sorta di strutturalismo, o a un’applicazione al Magistero di quelle teorie – pure criticate da de Mattei con riferimento alla Bibbia – che riducono la sacra Scrittura alla sua sola redazione e forma, dove ogni brano è smontato e decostruito in un gioco di riferimenti perpetuo in cui nulla ha più autorità.
La buona scienza dovrebbe servire a spiegare i documenti, non a farli a pezzi. De Mattei nega la continuità dei documenti del Concilio con la Tradizione, ribadita dal Papa anche nella recente esortazione Verbum Domini. Ripropone così purtroppo, ancora una volta, quell’ermeneutica della rottura che Benedetto XVI denuncia come dannosa.
«De Mattei e il Concilio, un metodo critico che svaluta i testi»
Massimo Introvigne (Avvenire, 1° dicembre 2010)
Il 22 dicembre 2005, in un discorso ormai famoso alla Curia Romana, Benedetto XVI ha distinto a proposito del Vaticano II un’errata «ermeneutica della discontinuità e della rottura» rispetto al Magistero precedente, e una giusta «ermeneutica del rinnovamento nella continuità». Il 24 luglio 2007, ad Auronzo di Cadore, il Papa ha aggiunto che l’ermeneutica della rottura è praticata sia dal «progressismo sbagliato» sia dall’«anticonciliarismo». Entrambi affermano che il Vaticano II ha rotto con la Tradizione, i progressisti per applaudire questa presunta rottura e gli anticonciliaristi per deplorarla. Ma in verità, per Benedetto XVI, non c’è nessuna rottura.
Per decenni, l’ermeneutica della rottura è stata proposta principalmente dal fronte del «progressismo sbagliato». Di recente sono apparse diverse opere che ripropongono l’ermeneutica della rottura in chiave anticonciliarista e talora cercano di rivalutare la figura, emblematica per questa lettura del Concilio, di mons. Marcel Lefebvre.
Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta dello storico Roberto de Mattei (Lindau, Torino 2010) si presenta, già dal titolo e dalla mole (632 pagine), come un libro molto ambizioso e una vera summa delle tesi anticonciliariste. A differenza di altri autori, che condividono con lui l’accusa al Concilio di avere rotto con la Tradizione, de Mattei manifesta un maggiore distacco nei confronti di mons. Lefebvre, rilevando che del cosiddetto «tradizionalismo» che rifiutava il Concilio il vescovo francese non fu mai «il capo», ma solo «l’espressione più visibile e alimentata dai mass-media».
De Mattei condivide però con i «lefebvriani» la tesi secondo cui l’ermeneutica della continuità auspicata da Benedetto XVI è ultimamente impraticabile. Infatti, per interpretarli alla luce della Tradizione, i documenti conciliari dovrebbero essere separati dall’evento-Concilio, che consta della sua preparazione, delle discussioni in aula – ricostruite da de Mattei in modo minuzioso, usando però molto meno le relazioni delle commissioni –, delle presentazioni contemporanee dei media e delle applicazioni successive.
Questa «artificiale dicotomia fra i testi e l’evento», secondo de Mattei, dal punto di vista dello storico e del sociologo non ha senso. Lo storico romano cita fra i sociologi che hanno applicato al Concilio le teorie dell’evento globale Melissa Wilde e il sottoscritto. Da queste teorie pensa di poter concludere che i documenti fanno parte dell’evento, fuori del quale perdono il loro significato.
Ma la teoria sociologica dell’evento non afferma che sia impossibile la distinzione fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere affermato di qualunque documento che si presenta come autorevole, saremmo di fronte a una sorta di strutturalismo, o a un’applicazione al Magistero di quelle teorie – pure criticate da de Mattei con riferimento alla Bibbia – che riducono la sacra Scrittura alla sua sola redazione e forma, dove ogni brano è smontato e decostruito in un gioco di riferimenti perpetuo in cui nulla ha più autorità.
La buona scienza dovrebbe servire a spiegare i documenti, non a farli a pezzi. De Mattei nega la continuità dei documenti del Concilio con la Tradizione, ribadita dal Papa anche nella recente esortazione Verbum Domini. Ripropone così purtroppo, ancora una volta, quell’ermeneutica della rottura che Benedetto XVI denuncia come dannosa.
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