Chi sono i «profeti disarmati» di cui parla il suo libro?  
 I «profeti disarmati» sono i nostri politici, intellettuali e scrittori  che «vestivano all'inglese», ovviamente in senso figurato, cioè che  tentavano un laburismo all'italiana. Personalità quali Mario Pannunzio,  Luigi Einaudi, Ernesto Rossi, Mario Ferrara, Gaetano Salvemini, i quali  tentarono questo esperimento nel nostro Paese, una «terza forza» che non  fosse né la Democrazia Cristiana né il Partito Comunista. Un  esperimento fallito, culminato con una sconfitta. Tuttavia, spesso anche  le sconfitte portano con sè dei risultati. Dall'esperienza di Risorgimento  Liberale, che veniva pubblicato clandestinamente, alla loro uscita  dal Pli nel 1947, quindi con la nascita de Il Mondo nel 1949,  iniziarono a diffondersi i germi di una via italiana al laburismo, i cui  risultati sono presenti ancora oggi.  
 In cosa consisteva la cosiddetta «tecnica della mangusta»?  
 La «tecnica della mangusta» - denunciata da Mario Pannunzio fin dal  1944-45 - riguardava l'operato e l'atteggiamento del Pci all'interno  delle forze componenti l'antifascismo. Desiderio dei comunisti era di  divorare l'avversario, inglobarlo, in modo da avere l'egemonia delle  forze che componevano l'antifascismo. Ciò ovviamente causò una rottura.  Inizialmente Pannunzio tese la mano ai comunisti, nel nome della  battaglia comune contro il regime. Ed egli tentò anche una alleanza con  il Psi, ma il patto tra quest'ultimo e il Pci, di fatto, la impedì.  
 Qual è l'intento del Suo libro?  
 Raccontare una parte di storia dimenticata. Nei libri di storia si parla  de Il Mondo, e meno di Risorgimento Liberale. Si tratta  anche di una riscoperta di tale giornale. Io stessa l'ho scoperto per  puro caso, documentandomi sugli scontri politici del dopoguerra. Quella  testata, già all'epoca, ospitava temi di grandissima attualità: il  dibattito sulle foibe, il «triangolo rosso», i prigionieri di guerra  dell'Urss, le questioni di Istria, Gorizia e Dalmazia. Temi trattati da Risorgimento  Liberale nonostante numerosi ostacoli e varie barriere. Lo stesso  vale per Il Mondo, unico a ricordare lo tsunami di  violenze ed eccidi che colpì l'Italia da Nord a Sud dal 1946 alla fine  del '47. Un giornalismo di inchiesta, un atteggiamento vivace volto a  combattere gli «illegalismi» dei comunisti e i cosiddetti «gargarismi»  togliattiani, che incontrò un netto contrasto, non solo a parole, ma con  i fatti.  
 In un editoriale intitolato «Perché non possiamo non dirci  anticomunisti» don Gianni Baget Bozzo scrisse che «il Pci è riuscito a  creare un linguaggio politico che è diventato lentamente maggioritario  nella cultura italiana». È d'accordo?  
 É verissimo. Nella cultura italiana il linguaggio politico è rimasto  quello utilizzato dal Partito Comunista. Basti pensare a come venivano  coniati gli slogan antifascisti da parte di Carlo Muscetta e  Concetto Marchesi, la contrapposizione tra «uomini di qualità» e «uomini  qualunque» effettuata dal primo e il teorema dei «fascisti mascherati»  del secondo, che permetteva di accusare di «fascismo» tutti coloro che  non si schieravano con i comunisti, dai socialisti poco accomodanti con  il Pci ai democristiani, passando per i repubblicani e i liberali di  sinistra. Un lessico che continua ad essere utilizzato attualmente.  
 
 


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