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sabato 15 maggio 2010

Persecuzioni anticristiane: il bandolo della madrassa Pubblicato da Davide Romano alle 08:48 in Arabica & islamica

Ennesimo eccidio di cristiani nel mondo islamico, questa volta in Turchia. Difficile sostenere si tratti di un singolo episodio. O che sia dovuto alla reazione islamica alla guerra di Bush. I cristiani in terra di Turchia erano 2 milioni all'inizio del '900, oggi sono 200 mila. Umiliati per di più, poichè non possono fare quanto la loro religione gli impone: portare la parola di Gesù.
Ma non è solo la Turchia a perseguitare i cristiani, è il mondo islamico (non tutto, ovviamente) in generale ad avere un problema di tolleranza verso le altre religioni. Il problema è quello dell'assenza di una società secolarizzata. In Iran (vedi qui) fedeli Bahai sono stati espulsi dall'università, perfino in Algeria (stato "laicissimo") è fatto divieto di convertire al cristianesimo i musulmani, pena la prigione. Nell'Autorità Palestinese (prima e dopo Arafat) i cristiani sono quotidianamente umiliati. A Betlemme per esempio, i cristiani nel 1950 erano il 75% della popolazione, oggi il 12%. In Egitto i cristiani, classe più aperta e intellettuale del paese, vivono una sorta di umiliazione continua (da parte dello stato e della società "civile"). Nonostante tutto questo, quello che stupisce è che si parla sempre di più (e solo) di islamofobia. Intendiamoci: un pregiudizio anti-islamico si sta diffondendo, e va combattuto. Le recenti scritte anti-islamiche sulla moschea a Milano ne sono dolorosa testimonianza. Ma a fronte di scritte o di manifestazioni anti-islamiche (vedi Lega Nord) inqualificabili, stupisce la passività di fronte alla cancellazione della presenza cristiana dal Medio Oriente. Questa non fa notizia. O meglio, sta cominciando a farla adesso, dopo anni di silenzio. Probabilmente anche grazie alla "sveglia" che si è data la Chiesa di Benedetto XVI (vedi miei post precedenti qui e qui), cui vanno tutte le nostre lodi per l'opera intrapresa. A patto che prosegua con sempre maggior vigore.  
Nei nostri paesi occidentali siamo maestri nel fustigarci e addossarci tutte le colpe dell'universo mondo, ma quando si tratta di accusare gli altri che ci massacrano o ci umiliano, siamo sempre pronti a "giustificarli" adducendo nostre colpe passate (le crociate, la guerra di Bush, ecc.). Come se l'Islam fosse esente da colpe. Come se i musulmani fossero incapaci di sbagliare, mentre gli unici "sbagliati" fossimo noi occidentali. No, signori. Qui, se c'è qualcosa di sbagliato, è certo nei paesi che non riconoscono la libertà di religione, oltre che in quelli che la riconoscono solo formalmente (come la Turchia). Sono loro che alimentano lo "scontro di civiltà".
Naturalmente cio' non toglie che la maggioranza dei musulmani siano pacifici e tolleranti. Infatti essi stessi sono vittime della minoranza fanatica (vedi massacro di ieri in Iraq, con più di 200 morti, o i 150 mila morti musulmani in Algeria per mano dei fondamentalisti islamici). Il problema è che non riescono a combattere contro i tagliagole. In parte per l'estrema violenza dei terroristi, e in parte perchè sono pochi i regnanti che si impegnano davvero a modernizzare e secolarizzare le loro società.
Vogliamo davvero risolvere il problema dell'intolleranza islamica? Ecco la ricetta per i governi dei paesi islamici: vietare l'indottrinamento nelle scuole coraniche, promuovere la parità uomo-donna, divisione tra stato e moschea, perseguire chi incita all'odio sui media (dai libri di testo delle scuole, ai giornali e alle tv. Come abbiamo visto recentemente, le tv palestinesi incitano all'odio antiebraico nella sostanziale indifferenza del mondo. I governi occidentali non si sono mai curati di questi "dettagli", con le conseguenze che oggi vediamo), promuovere sui media il concetto di differenza. Già con questi 5 cambiamenti le cose cambierebbero notevolmente.
Ma il problema è: chi li promuoverà? i governi dei paesi islamici? la maggioranza non  sembra interessata a farlo. I paesi occidentali? non mi pare rientri nelle politiche estere europee nè, tantomeno, italiane.
Le uniche speranze a cui possiamo appellarci sono, nell'ordine, Vaticano, USA e UE. La Santa Sede ha l'autorità morale per chiedere al mondo islamico un maggior rispetto della libertà religiosa. Gli USA - come potenza mondiale - dovrebbero fare molto di più, almeno contro i regimi da essi finanziati (vedi Egitto). L'Unione Europea invece, dovrebbe iniziare una politica di pacifico interventismo in tema di diritti umani nei paesi arabi. Visto che finanzia copiosamente diversi regimi islamici, potrebbe condizionare tali aiuti ai 5 punti che ho prima elencato. Sarebbe una rivoluzione. Forse più per ancora per la mentalità europea che per i regimi islamici. Speranza vana? probabile. Ma le pressioni congiunte dei 3 attori sopra citati sono certo potrebbero sortire effetti. Unica condizione: farle, queste benedette pressioni.

2 commenti:

  1. Nel 1915, in piena Guerra mondiale, il regime dei Giovani Turchi fece deportare gran parte degli armeni di Turchia nelle lontane terre dell'Anatolia orientale: a esser precisi, com'è storicamente accertato, questi armeni furono affamati e violentati e decapitati e impalati nella misura di un milione e mezzo di cristiani, ciò che è stato definito il primo grande genocidio del Novecento e ciò che la storiografia ufficiale della Turchia seguita scandalosamente a negare.
    Stiamo parlando, si badi bene, del quaranta per cento della popolazione armena massacrata nel corso di poche settimane, lutto che gli armeni celebrano da allora come il primo genocidio del XX secolo. Svariate fonti storiche spiegano peraltro che Adolf Hitler, nel prefigurare lo sterminio degli ebrei, si ispirò chiaramente a quello degli armeni, tanto da dire, in un celebre discorso del 22 agosto 1939, che nell'invadere la Polonia occorreva massacrare «uomini e donne e bambini» senza preoccuparsi di eventuali conseguenze future: «Chi mai si ricorda oggi», si chiese, «dei massacri degli armeni?».
    Pochissimi ancora oggi: tanto che ancor'oggi si fronteggiano coloro secondo i quali si trattò di un genocidio pianificato e altri che si limitano a definirlo un banale scontro tra etnie, benché sanguinoso. Il punto è che anche i genocidi hanno i loro conflitti di interesse. È per questo che lo storico americano Guenter Lewy, ebreo, celebre storico del nazismo, ha ricostruito la vicenda attraverso un imponente lavoro su archivi riservati e sulla base di testimonianze dei sopravvissuti: il risultato è il primo e vero lavoro di storia, nonostante frammentarie documentazioni non mancassero, su una delle pagine più oscure del Novecento, ricostruita da Lewy minuziosamente e con un'impressionante mole di fonti, evitando la polemica interpretativa e concentrandosi invece sul racconto («Il massacro degli armeni. Un genocidio controverso», Einaudi, pagg. XVI-394, euro 25, traduzione di Piero Arlorio).

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  2. Nel 1915, in piena Guerra mondiale, il regime dei Giovani Turchi fece deportare gran parte degli armeni di Turchia nelle lontane terre dell'Anatolia orientale: a esser precisi, com'è storicamente accertato, questi armeni furono affamati e violentati e decapitati e impalati nella misura di un milione e mezzo di cristiani, ciò che è stato definito il primo grande genocidio del Novecento e ciò che la storiografia ufficiale della Turchia seguita scandalosamente a negare.
    Stiamo parlando, si badi bene, del quaranta per cento della popolazione armena massacrata nel corso di poche settimane, lutto che gli armeni celebrano da allora come il primo genocidio del XX secolo. Svariate fonti storiche spiegano peraltro che Adolf Hitler, nel prefigurare lo sterminio degli ebrei, si ispirò chiaramente a quello degli armeni, tanto da dire, in un celebre discorso del 22 agosto 1939, che nell'invadere la Polonia occorreva massacrare «uomini e donne e bambini» senza preoccuparsi di eventuali conseguenze future: «Chi mai si ricorda oggi», si chiese, «dei massacri degli armeni?».
    Pochissimi ancora oggi: tanto che ancor'oggi si fronteggiano coloro secondo i quali si trattò di un genocidio pianificato e altri che si limitano a definirlo un banale scontro tra etnie, benché sanguinoso. Il punto è che anche i genocidi hanno i loro conflitti di interesse.

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