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sabato 8 gennaio 2011

Battisti. Ingiustizia è fatta di Maria Chiara Albanese

«Tana dolce tana». Questo il cartello che potrebbe essere esposto all'uscita degli aeroporti del Brasile dopo il no all'estradizione di Cesare Battisti. Facendosi beffe di consolidati principi consuetudinari e pattizi del diritto internazionale, l'ormai ex-presidente Lula, sbandierando la «sovranità» nazionale del suo Paese, ha calpestato quella del nostro. Perché nella soddisfazione del sentimento di giustizia - e ribadiamo giustizia, non vendetta! - dei familiari delle vittime dell'azione scellerata di Battisti si esplica, forse in una delle sue forme più alte, la sovranità italiana.
Il no all'estradizione dell'esponente mai pentito dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo) conferma l'assoluta parzialità della politica estera seguita dal Brasile sotto il comando di Lula. «Una pugnalata alle spalle», secondo il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. La scelta di Lula ha confermato una brutta usanza, già presente in altri Paesi: quella di concedere asilo politico a persone che in altri Stati si sono macchiati di efferati crimini e il cui unico obiettivo è sfuggire alla giustizia. Non si parla, infatti, di condanne a morte, fustigazioni, pene corporali, lapidazioni o similari. Si parla di ergastolo. Per l'assassinio di 4 persone. Di una pena confermata in ultimo grado di appello. Di una sentenza emessa in un Paese democratico, che si regge sulla centralità del diritto. Si tratta di giustizia.
Come sottolineato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al termine dell'incontro avuto oggi con Alberto Torregiani, figlio di una delle quattro vittime di Battisti, la solidità dei rapporti tra Italia e Brasile non è in discussione. Da qui la richiesta di estradizione al Brasile, vista non come «un fatto di vendetta», ma come passaggio necessario affinché «si affermi la giustizia». «Mi sono radicato nell'idea - ha detto poi Berlusconi - che Battisti abbia rivestito di ideologia politica una sua realtà di criminale vero». Con queste parole il nostro premier è andato al cuore dell'affaire Battisti.
Sì, perché è proprio il mantello dell'ideologia quello con cui Battisti si è coperto per sfuggire alla giustizia e cercare riparo laddove avrebbe potuto trovare la solidarietà di tanti sedicenti intellettuali nostalgici dei tremendi anni Settanta. Così Battisti, indossando la veste dell'eroe perseguitato, del figlio di un «sistema» malato le cui colpe sono imputabili sempre e solo agli altri, si è preso gioco di tutto e di tutti, con quel suo sorriso beffardo sempre accennato sul viso. E lo ha fatto spalleggiato dalla meschinità di un pensiero finto-intellettuale che non stabilisce valori, ma solo parzialità di opinioni al di fuori delle quali non vi è nulla.
Battisti ha oggi trovato in Lula la sua àncora di salvezza. E non è detto che le cose cambino con Dilma Roussef. Una donna sulla quale alcuni ripongono molte speranze per un possibile nuovo Brasile, forse ignorando il passato rivoluzionario della nuova presidentessa brasiliana. Sono gli stessi che preferiscono ancora credere nella favola di Lula «presidente operaio», gli stessi che non hanno voluto ascoltare negli ultimi mesi la propaganda populista della Roussef, miseramente contraddetta proprio nei primi giorni di mandato presidenziale. Sì, perché se al proprio popolo si promette un futuro migliore, fatto di benessere e giustizia, allora si dovrebbe spiegare agli italiani come mai questo stesso diritto a vedere giustizia fatta essi non lo possano esercitare.
«La maggior parte dei cittadini brasiliani è contraria alla soluzione del loro ex presidente Ignacio Lula da Silva riguardo all'estradizione di Cesare Battisti». Maurizio Campagna, fratello di Andrea, agente di polizia ucciso nel 1979 dai PAC, ne è fermamente convinto. Noi ce lo auguriamo.

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