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mercoledì 21 aprile 2010

Cuba, il regime è in crisi. Parola di Cardinale

Quanto durerà ancora il regime comunista cubano? Non molto, a giudicare dalla crisi di sistema che sta attraversando in questi anni, la più grave nell’ultimo decennio. Ad affermarlo non è un dissidente, ma dal cardinale Jaime Ortega.
Il cardinale, in una intervista rilasciata a Palabra Nueva ha espresso per la prima volta concetti molto duri sul regime. “Il nostro Paese è in una situazione molto difficile, certamente la più difficile dall’inizio di questo secolo”. Il presidente Raul Castro ha messo mano ad alcune piccole riforme: permette l’uso del cellulare, l’acquisto di apparecchi per l’aria condizionata e ora ha privatizzato i barbieri. Sono passi minuscoli che hanno un impatto minimo sui cubani e producono addirittura un effetto contrario sull’opinione pubblica occidentale: permettono infatti di scoprire che, fino alla settimana scorsa, anche i barbieri erano dipendenti statali e i cubani (in un clima tropicale) non potevano neppure acquistare un condizionatore. Per non parlare del divieto sui cellulari, che da noi sono di uso comune da almeno quindici anni. Il cardinale Ortega, nella sua intervista, ha riferito che la stessa stampa cubana (pur se censurata) inizia a discutere sul fallimento del sistema. “Sui giornali a Cuba” - dichiara l’alto prelato - “si leggono opinioni di tutti i tipi sul modo di trovare delle vie d’uscita alla crisi economica e sociale del momento. Molti parlano del socialismo e dei suoi limiti, alcuni propongono un socialismo riformista, altri di riforme tecniche che devono essere effettuate immediatamente, altri ancora vogliono lasciarsi alle spalle questa burocrazia ancora di tipo staliniano, infine molti si lamentano dell’apatia dei lavoratori e della scarsa produttività”. Dalle parole beneducate e tutt’altro che anti-regime dell’alto prelato, emerge comunque un gran “bel” quadretto sulla situazione cubana. Da cui viene tratta una sola conclusione: “A Cuba devono essere varate immediatamente le necessarie riforme. Questo parere sta conquistando un consenso unanime ed ogni ritardo produce disaffezione e impazienza nel popolo”.
A questo si aggiunge la “preoccupante” nuova svolta repressiva del regime, con la morte (per sciopero della fame) del dissidente Orlando Zapata Tamayo e la stretta poliziesca sulle Dame in Bianco. Questo gruppo di contestazione (premio Sacharov dell’Unione Europea nel 2005) costituito dalle parenti delle vittime della repressione del 2003, sabato scorso era stato assediato, nella casa della sua leader Laura Pollan, da una folla di manifestanti castristi e agenti in borghese. “Il regime evidentemente ha paura”, era stata la prima dichiarazione rilasciata dalla portavoce delle Dame in Bianco Berta Soler: se la polizia si mobilita per impedire una manifestazione di un gruppo pacifico e stimato in tutto il mondo, in effetti, qualche sintomo di insicurezza c’è. Su questi temi, Jaime Ortega si schiera apertamente con il regime (e probabilmente non può fare altro), anche se ricorda che la Chiesa è per la liberazione dei prigionieri. Dichiara che su Zapata Tamayo è stata montata una “campagna di violenza mediatica degli organi di informazione negli Stati Uniti, in Spagna e altrove”. Afferma però che: “queste azioni” - dei media - “non possono che peggiorare la crisi”. Volendo leggere fra le righe: l’ultima repressione (e la conseguente risposta dell’opinione pubblica occidentale) sta danneggiando il regime.
La Chiesa cubana, perseguitata dal regime, si era riconciliata con il governo de L’Avana negli ultimi decenni, soprattutto dopo la visita di Giovanni Paolo II a Fidel Castro. In genere, secondo quanto denunciano dissidenti cattolici, primo fra tutti Armando Valladares, la Chiesa Cattolica non ha mai svolto a Cuba un ruolo pari a quello della Chiesa polacca durante la rivoluzione di Solidarnosc, non si è mai allineata su rischiose posizioni di aperto dissenso, ma ha sempre cercato la coesistenza con il sistema comunista. Fidel Castro parlava decisamente di “alleanza strategica” fra marxisti e cattolici. Le parole di Jaime Ortega, dunque, sono doppiamente credibili: perché sono pronunciate da fonte autorevole e da una fonte assolutamente non dissidente.

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