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venerdì 16 aprile 2010

Quella via americana lastricata di buone intenzioni

Si sa da tempo che il modo migliore per mobilitare una grande manifestazione o un tumulto nei paesi arabi è quello di dire alla gente: le autorità di governo sono con voi. Mettiamo, ad esempio, che vogliate sfasciare l’ambasciata Britannica a Damasco o al Cairo. Il trucco sta nel persuadere le masse che i loro sovrani vogliono che loro lo facciano e che per questo saranno ricompensati, non puniti.
In pratica, questo è ciò che sta inavvertitamente facendo l’amministrazione Obama. L’Autorità Palestinese infatti viene spinta a concludere che il governo americano non la criticherà né penalizzerà mai. Anzi, i leader palestinesi sono portati a pensare che, più saranno intransigenti, più riusciranno a guastare i rapporti fra Israele e Stati Uniti. Ecco quali sono i passaggi del ragionamento:
– L’amministrazione Obama vuole ottenere dei progressi verso la pace di cui possa attribuirsi il merito e che, nelle sue intenzioni, dovrebbero aiutarla in Afghanistan, in Iraq e nel fronteggiare l’Iran.
– Se Israele non fa concessioni, aumentano gli attriti Usa-Israele. Viceversa, se l’Autorità Palestinese assume posizioni intransigenti, non sorge alcun problema bilaterale fra essa e Washington.
– Anzi, l’amministrazione Usa dirà: dal momento che l’Autorità Palestinese non cede e non accetta le nostre offerte, dobbiamo fare pressione su Israele perché conceda di più, in modo da coinvolgere l’Autorità Palestinese.
– Pertanto, più l’Autorità Palestinese assume posizioni intransigenti che fanno arrabbiare Israele e lo rendono riluttante ad assumersi rischi, più Israele subirà pressioni e verrà accusato per questa situazione.
– In conclusione: essere intransigenti, creare conflitti e persino fomentare violenze è nell’interesse dell’Autorità Palestinese.
Vediamo un esempio. Mentre l’amministrazione Obama è infuriata con Israele semplicemente perché una commissione di basso livello ha dato notizia di uno dei sette passaggi amministrativa verso la costruzione di appartamenti, probabilmente fra un paio di anni, in un quartiere di Gerusalemme abitato da ebrei, dall’altra parte i massimi dirigenti dell’Autorità Palestinese celebrano in pompa magna dei terroristi responsabili dell’assassinio a sangue freddo di numerosi civili israeliani, ed anche di alcuni cittadini americani. Glorificando queste gesta, l’Autorità Palestinese fa arrivare ai palestinesi il messaggio secondo cui la conciliazione con Israele non è all’ordine del giorno, e che moderazione equivale a tradimento.
Ignorando in larga misura tutto questo, il governo statunitense incoraggia ulteriori comportamenti dello stesso tipo: gesti palestinesi che mostrano agli israeliani, di qualunque opinione politica, che l’Autorità Palestinese non è un vero interlocutore per la pace, e che Israele deve stare molto attento a fare concessioni. L’effetto, alla fine, è di rendere entrambe le parti assai meno disponibili ad arrivare a un accordo di compromesso, vale a dire l’esatto contrario di ciò che l’amministrazione Obama desidera.
L’ultima mossa, da poco annunciata, oltrepassa tutti i limiti precedenti: l’intitolazione di una strada a Ramallah, capitale de facto dell’Autorità Palestinese, alla memoria di Yihye Ayash, il famigerato “ingegnere” delle bombe coinvolto nell’omicidio di più israeliani di qualunque altro singolo terrorista. Venne ucciso da Israele nel 1996, dando luogo ad altri attentati terroristici per vendetta. Ma non è certo l’unico esempio di terroristi assassini di civili israeliani acclamati dall’Autorità Palestinese. In un altro caso, il segretario di stato Usa Hillary Clinton accusò Hamas d’aver dedicato una piazza alla memoria di una terrorista, responsabile dell’uccisione di 28 israeliani nel 1978, anche se la celebrazione era stata fatta a Ramallah (sotto giurisdizione dell’Autorità Palestinese). Da notare che, fra le vittime di quella terrorista, c’era anche Gail Rubin, un cittadino americano.
Particolarmente interessante anche un terzo caso di terrorista osannato. Abdullah Daoud, già capo dell’intelligence palestinese a Betlemme, fu uno di quelli che nel 2002 si impadronì a mano armata della Basilica della Natività trasformandola in una roccaforte da cui far fuoco verso i soldati israeliani (che si guardarono bene all’entrarvi). Daoud e i suoi compari ottennero alla fine il permesso da Israele di abbandonare incolumi il paese. Recentemente Daoud è deceduto in Mauritania per cause naturali. Cosa c’è di particolarmente shocking scioccante? C’è che glorificare questo terrorista rappresenta una sberla in faccia a tutti i cristiani: ecco un tizio che si occupò, minacciando i monaci coi mitra spianati, quello che può essere considerato uno dei più sacri santuari di tutta la cristianità (dove per secoli, prima di allora, nessuno aveva osato penetrare armato, men che meno gli israeliani). Si immagini se il mondo – e in particolare i governi, gli intellettuali e i mass-media occidentali – fossero un filo più sensati. Viviamo in un’epoca in cui la più lieve offesa a una religione (o perlomeno ad alcune religioni; okay, diciamo pure: a quella religione) è considerata a un dipresso il peggiore dei crimini. Eppure l’idea che miliziani armati dell’Autorità Palestinese abbiano fatto irruzione in una chiesa cristiana estremamente sacra, e l’abbiano usata come bunker militare, non sembra abbia suscitato alcuno sdegno né che abbia favorito un po’ più di consapevolezza sul genere di persone con cui si ha spesso a che fare qui. Quale segnale manda, tutto questo, ai cristiani in giro per il mondo? Si immagini per un attimo se fossero stati gli israeliani a penetrare armi alla mano dentro la Basilica o in un santuario islamico.
Ecco cosa significa il fatto che dirigenti dell’Autorità Palestinese organizzino per Daoud dei funerali da eroe, e del fatto che Mahmoud Abbas (Abu Mazen) vada a rendere visita personalmente ai suoi famigliari magnificandone le virtù. Con queste parole (stando a quanto riportato da Al-Kuds, quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese, il 28 marzo scorso): “Dobbiamo continuare sulla via del martire Daoud, che ha sempre creduto nella lotta, nell’amore per la patria e nella realizzazione dell’unità nazionale”. Abu Mazen ha aggiunto che Daoud “ha patito l’ingiustizia dell’espulsione”. Ora, stiamo parlando di un individuo implicato in attentati terroristici, e che ha occupato un santuario cristiano tenendo in ostaggio i religiosi cristiani che vi si trovavano. Preservato da arresto e punizione, gli fu permesso di riparare all’estero dove ha vissuto in libertà. E questa sarebbe l’“ingiustizia”?
Ma il punto importante resta il quadro che viene creando la politica americana, quello che finirà col minare gli obiettivi dell’amministrazione stessa, rischiando di rendere più arduo fare la pace, di incoraggiare le posizioni e le forze estremiste, e forse addirittura di condurre a un massiccio scoppio di violenze. Il che non è una buona cosa per nessuno.

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